La tappa romana del Tour dei Coma Cose

Scritto da Claudio Contini

A un mese scarso dall’uscita del loro esordio in lunga durata Hype Aura i Coma Cose hanno fatto viaggiare il loro sound da nord a sud per un breve tour la cui ultima tappa è stata Roma, all’Atlantico.

Se prima dell’album il duo milanese aveva già destato l’interesse dei più attenti alle novità a cavallo tra pop sperimentale, hip-hop ed elettronica, con Hype Aura i fans sono diventati tanti.
Ogni eventuale dubbio a proposito è fugato dalla fila fuori al botteghino da ben prima dell’orario previsto di apertura, una fila che il sottoscritto, abituato a concerti in scantinati di gruppi che almeno in Italia campano con la nicchia, ha accolto con una certa sorpresa.

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Ma l’attesa non è stata vana.

Tempo che tutti gli avventori entrino nell’ampia quanto anonima sala dell’Atlantico ed il live ha il suo inizio.
Prima dell’ingresso sul palco dei due protagonisti, arrivano i due musicisti che li hanno accompagnati lungo tutto il tour, il batterista Riccardo Fanara e il tastierista/polistrumentista Simone Sproccati. E’ un modo per ribaltare in qualche modo la tracklist dell’album, dove l’Intro è stata piazzata anarchicamente come ultimo pezzo.

Sta di fatto che basta per creare quell’atmosfera tra il sognante ed il lisergico nella quale i Coma Cose sanno trasportare in pochi istanti, e la loro entrata sul palco non richiede altro che l’attacco di uno dei loro pezzi più importanti, Jugoslavia, con il quale hanno probabilmente smosso molte acque a livello nazionale.

Seguo i due che si muovono sul palco da destra a sinistra, rigorosamente vestiti uguali come loro trademark

Dalle movenze e dal modo di approcciarsi al pubblico si evince immediatamente quanto la cultura Hip-Hop sia influente su di loro. E mentre alternano pezzi dell’album ad altri dal repertorio precedente, mi giro verso il folto pubblico e vedo con i miei occhi quello che le orecchie già captavano: tutti cantano le parole delle loro canzoni, comprese le parti rappate e i cosiddetti ad-libs.

Quando le luci della coreografia illuminano l’Atlantico poi, noto che vicino a tanti adolescenti ci sono anche parecchi over 30 e over 40. Un segnale di come i Coma Cose siano riusciti a bypassare la spocchia che spesso le generazioni passate hanno verso realtà emergenti.

Lo show prosegue in maniera lineare, vengono sostanzialmente eseguiti tutti i pezzi del duo (una ventina in tutto) in maniera più o meno pedissequa a quella dell’incisione. Via Gola, Anima Lattina, Mancarsi e Pakistan sono i momenti in cui si sono sentiti i più forti boati del pubblico, ed in cui i cori hanno raggiunto volume massimo.

A dare energia aggiuntiva sicuramente il drumming di Fanara, che picchia molto forte ed al quale a metà live viene anche concesso un breve ed apprezzato assolo. Altro momento da sottolineare è l’esecuzione di Mariachidi avvenuta insieme a Fabio Dalè e Carlo Frigerio, vale a dire i Mamakass, produttori ufficiali della band.
La loro presenza sul palco ha arricchito senza dubbio la parte sonora, dandogli una profondità ed una completezza che, probabilmente per scelta, durante il resto del live mancava a favore di un suono più freddo.

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Nell’ora e mezza scarsa di concerto viene fuori in maniera prepotente quanto delicata il talento di Francesca aka California.

Considerando la sua minore esperienza rispetto al suo compagno Fausto, si mangia il palco con una facilità da leone, lo riempie nonostante la sua minuta stazza ed alterna senza fatica cantato a rappato. La sua performance di Squali, forse non è tecnicamente perfetta ma è da brividi, con molta probabilità il momento
più emozionante del concerto. Molto abile in questo Fausto a concederle la scena dando ovviamente il suo contributo in maniera equilibrata e concreta, mostrandosi versatile in lungo e in largo (a tratti si è visto anche alla chitarra).

Di certo traspare in linea generale un po’ di inesperienza ai live di un certo livello, non tanto nell’energia o nella tenuta sul palco, quanto sulla struttura che, data l’esigua discografia del gruppo poteva pensare di giocare su qualche variazione, su maggiori parti strumentali o magari su un po’ di improvvisazione. Ma sono quisquilie nell’ambito di uno spettacolo piacevole e coinvolgente, che ha lasciato tutti di ottimo spirito e con la voglia di proseguire a cantare le loro canzoni.
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