Riportare al grezzo le cose da dire

 

«Ecco poi io, uno dei miei tanti tentativi di scrivere, avevo cominciato a scrivere un giallo, all’inizio non si sapeva ancora niente, la protagonista che era anche la vittima, doveva portarci per le strade di Bologna, attraverso un flashback, a scoprire l’assassino.»

Qualcosa di giallo. Vita di un rappresentante di moquette di Nicoletta Bianconi (Sempremai, 128 pagine, 2019) è, come una collana, un susseguirsi di perline colorate che legate insieme una dopo l’altra, con cura e attenzione, formano un gioiello unico; se, come dice Roland Barthes, il colore è un godimento come una palpebra che si chiude, uno svanire leggero, allora ecco che Nicoletta Bianconi infila perline opalescenti con lo stesso metodo con cui la nonna, interlocutrice del romanzo, nel libro mette i punti sulla stoffa mentre cuce.

Nell’esergo al romanzo, Agota Kristof citata da Trilogia della città di K ci dice che le parole devono essere vere, attinenti al reale; che niente come le parole che descrivono i sentimenti sanno essere così vaghe, tanto che sarebbe meglio evitare il loro impiego nella descrizione di oggetti, di esseri umani, e anzi proprio di se stessi. Eppure, quasi in contraddizione, Bianconi con semplicità ci parla di se stessa, la «se stessa» letteraria, e illumina i dintorni della sua esperienza di vita per svelarli di volta in volta come se tirasse fuori vecchie fotografie da una scatola: chi ha da dire qualcosa di importante ci tiene a farsi capire, diceva Karl Popper, e farà perciò tutto il possibile per scrivere in modo semplice e comprensibile, niente è più difficile dello scrivere facile.

La storia è quella di Nicoletta che ha in testa qualcosa di giallo, una storia di omicidio appunto, e la racconta al suo fidanzato Nicola che però la blocca, le dice che non funziona; intrecciando scrittura e metascrittura, il rapporto tra i personaggi di Nicoletta scrittrice e di Nicoletta letteraria diventa fitto e reciproco, la storia del giallo traballa e così anche il rapporto con Nicola. E allora Bianconi, questi suoi personaggi, decide di curarli, di fargli prendere il volo, come a New York: «E da qualche parte avevo letto o avevo sentito che a New York c’erano dei volontari che tutte le mattine all’alba, nel periodo delle migrazioni, giravano per le città, perché durante le migrazioni c’erano degli uccelli migratori che andavano a sbattere contro i grattacieli e finivano per terra tramortiti, e questi volontari li raccoglievano e li portavano in posti dove venivano curati per poi fargli riprendere il volo». E in mezzo ai ricordi anche i racconti di una Bologna quasi sparita, quella del macello comunale, della libreria Minerva poi diventata un supermercato Carrefour (ma con l’insegna della Minerva ancora attaccata), del macellaio Carmelo che era volato a New York assieme a Nino Benvenuti e s’era ritrovato al Madison Square Garden.

Qualcosa di giallo è il primo romanzo dell’autrice bolognese, la cui prima scintilla uscì su Qualcosa, il libro-magazine dei sapodisti (e se volete saperne qualcosa di più, seguite questo link come fece Alice col Bianconiglio, qui). Un esperimento letterario, questo di Nicoletta Bianconi, che è un trattamento d’urto esistenziale alla (ri)scoperta della propria matrice, «Mi hanno messo sopra una lacca, a me e a tutti gli altri, per farci sembrare tutti uguali, ma sotto ci sono le mie venature, le mie imperfezioni e io in questi anni ho cercato e sto cercando di fare un trattamento di sverniciatura per riportare, come si dice, al grezzo, le cose che vorrei dire». Nello sverniciarsi, Nicoletta passerà punto per punto i legami costruiti, cucendo (e scucendo) dove necessario tutti gli affetti, perché «anch’io ho molto bisogno di affetto e considerazione, ma dirlo non si può». E allora lo si scrive.

 

 

di Giorgia Sallusti

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