Continua il percorso di mobilitazione e condivisione di saperi delle Operatrici e degli Operatori X, collettivo di lavoratori e lavoratrici del sociale, che ormai da mesi è attivo a Genova. La sera del 20 giugno siamo stati a registrare il seminario di autoformazione “Lotte ai confini dell’accoglienza”, cui hanno partecipato Sandro Mezzadra, Agostino Petrillo e Federico Rahola. L’obiettivo della serata era ragionare sui migranti e coi migranti per scardinare la dinamica di infantilizzazione e assistenzialismo che purtroppo sostanzia un certo modo istituzionale di fare accoglienza.

Gianluca di Operatori e  Operatrici X e Agostino Petrillo (Docente di Sociologia Urbana al Politecnico di Milano)

Federico Federico Rahola (Docente di Sociologia all’Università di Genova)

Sandro Mezzadra (Docente di Filosofia Politica all’Università di Bologna)

Dibattito

Conclusioni

 

Quotidianamente assistiamo ad un’escalation di violenza nelle narrative e nelle pratiche legate alla migrazione: sui social network come sui media tradizionali continuano a trovare spazio, infatti, le retoriche dell’“invasione”, del degrado e dell’insicurezza sociale.

Questa deriva razzializzante opera attivamente nella produzione del discorso pubblico e non senza conseguenze. Non è infatti solo la causa dell’esplosione sul territorio nazionale di comitati neofascisti che nelle periferie assumono derive sempre più violente, ma soprattutto il riflesso di un assetto istituzionale che continua ad affrontare la complessità del tema migratorio come un fenomeno da arginare, ghettizzare, respingere ed invisibilizzare – un fenomeno di cui il decreto Minniti-Orlando è solo l’ultimo atto di un governo politico dell’insicurezza sociale.

In maniera speculare assistiamo all’affermarsi un’altra violenza: la violenza mascherata del razzismo “benevolo” dell’umanitario, che si legittima dietro la lotta antidiscriminatoria, e produce discorsi e politiche volontaristiche. Un discorso che traduce continuamente i soggetti in vittime: soggetti necessariamente passivi, perché perennemente in fuga dalla fame o dalla guerra.
Questa narrativa si ripercuote profondamente nel quadro istituzionale: “l’unico” soggetto ammissibile sul territorio europeo è il/la “richiedente asilo”, che al cospetto delle Commissioni territoriali deve produrre una narrazione di un sé che sia all’altezza delle aspettative, documentando la propria fuga con ferite e cicatrici da mostrare per avere diritto ad un titolo di soggiorno sul territorio europeo.
Anche dal punto di vista “solidale” questa visione rischia di produrre i suoi effetti negativi, collocando i/le migranti ad un livello di subalternità, producendo un gap incolmabile nella relazione, che molto ha a che fare con una visione coloniale dell’alterità e che sostanzia un sistema di accoglienza che assume tratti spesso paternalistici..

Se guardiamo alla realtà, provando ad abbandonare per un attimo questa prospettiva, possiamo però immediatamente accorgerci che la quotidianità ci restituisce esempi di autodeterminazione, autorganizzazione e protagonismo dei/delle migranti che giungono in Europa.
Questo già a partire “semplicemente” dalla loro presenza: chi arriva in Europa pone una domanda politica collettiva rispetto alla libertà di movimento, che viene immediatamente sottoposta a dispositivi giuridici che mirano a differenziare e individualizzare questo atto politico, a partire dalla divisione fra rifugiati e migranti economici. Ciò nonostante, il loro essere qui ed ora, nonostante i pericoli e la fatica del viaggio, nonostante i confini fisici e burocratici, mette immediatamente in crisi il sistema di frontiere, leggi e regolamenti dell’Unione Europea e dei vari stati nazione.
Ancora, nonostante l’accoglienza istituzionale sia per sua stessa natura fautrice di un assistenzialismo che infantilizza le persone accolte, ovunque sul territorio italiano assistiamo a proteste per condizioni materiali di vita migliori, ma anche e soprattutto alla rivendicazione da parte dei/delle migranti della possibilità di autodeterminare i propri percorsi di vita, rispetto alle questioni riguardanti l’istruzione, il lavoro, il luogo in cui si sceglie di vivere.
Se guardiamo allo spazio pubblico poi, è innegabile che i/le migranti siano soggetti attivi della trasformazione delle città europee, diffondendo nei luoghi di residenza reti di mutualismo costruite dal basso, che sanno accogliere e sostenere i connazionali meglio di qualsiasi struttura istituzionale. Laddove poi la gentrification e le logiche di “riqualificazione” lavorano ad espellere i/le migranti nelle periferie delle metropoli, assistiamo alla trasformazione fisica e sociale di questi luoghi secondo traiettorie non preventivate, che sfuggono alla ghettizzazione e all’atomizzazione.
Infine, guardando al mondo del lavoro, è innegabile che i settori in cui la presenza di manodopera migrante è maggiore – come ad esempio la logistica – siano quelli attraversati negli ultimi anni dalle lotte più avanzate in termini di rivendicazioni, conflittualità e anche vittorie, in antitesi ad un panorama generale dove, al contrario, vediamo la costante erosione dei diritti dei/delle lavoratori.

Per questi motivi, vorremmo costruire martedì 20 giugno (Giornata mondiale del rifugiato) un momento di discussione condivisa sui/sulle migranti e con i/le migranti, che sappia raccontare questo protagonismo nella trasformazione della società e nella conquista di diritti ed autodeterminazione.