L’altro ieri una nube di fumo nero ha coperto la città, quasi ad omaggiare chi, quel fumo nero, l’ha evocato molto spesso in questi ultimi decenni.
È l’odore e il colore delle città delle urgenze sociali, delle lotte di classe, delle spaccature generazionali e delle tensioni razziali. È il colore ed odore delle città in cui nasce, cresce e lotta il Sigaro: il colore quindi della nostra città in particolare, dove un uomo bianco raccoglie il testimone di chi la rivolta bianca l’aveva già raccontata in parole e musica e la fa diventare una rivolta dai molti colori.
Il primo è il rosso, quello della bandiera che Sigaro aveva scelto come proprio vessillo. Una bandiera che forse, con gli occhi di chi non lo conosceva, potrebbe rappresentare soltanto un ideale anacronistico e superato, ma che Sigaro riesce a trasformare in pratica quotidiana di vita. Non solo sul palco, dove tutto questo si esprime con la cifra stilistica classica della Banda Bassotti, dove la retorica appassionata incontra un’intenzione genuinamente romantica, nel senso più vivo del termine, ma anche fuori dal palco, nella vita di tutti i giorni, nel posto di lavoro come nelle occupazioni, nelle piazze, nelle relazioni umane con tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo.
Al rosso poi si aggiungono i colori di tutto il mondo in lotta per i propri diritti e contro le ingiustizie, senza distinzioni di credo, razza, lingua e provenienza geografica.
Sigaro e la Banda diventano non solo i cantori della rivolta bianca di Roma e dintorni, ma anche di quelle sparse negli angoli più sperduti del pianeta, ed ogni volta che Sigaro e la Banda si muovono, ovunque essi vadano, il seme della rivolta si trasforma in rosa rampicante, che più la schiacci e più cresce.
E poi c’è il suo colore particolare, un colore invisibile, in questi anni di ritorno più o meno strisciante del fascismo: è il colore di un anticorpo che nessuno può vedere finché non capirà che il fascismo non è un’ideologia a cui controbattere con un’altra, ma è un metodo, una pratica e va combattuto con un metodo e una pratica contrari: restare sempre e comunque dalla parte degli ultimi, degli sfruttati, degli oppressi, dei dimenticati, dei reietti. Anche di fronte a montagne di evidenze contrarie o alle accuse di rigidità politica che spesso si è dovuto beccare.
Sigaro ci ha insegnato cosa vuol dire veramente essere antifascisti qui ed adesso: rifiutare quel metodo nella vita di tutti i giorni, utilizzando con pervicacia e ostinazione, senza calcoli e opportunismi, una pratica di vita contraria.
Sigaro era la dimostrazione di come si è realmente antifascisti, oltre che comunisti, nella vita di tutti i giorni. Addio Sigaro, ci mancheranno le tue mani ruvide, i tuoi occhi chiari e sinceri, le tue parolacce e le tue canzoni. Però non ci mancherà il tuo insegnamento, il tuo stile, la tua pratica di vita, comunista e antifascista sempre.