patrimonio

Negli ultimi mesi il Dipartimento “Patrimonio Sviluppo e Valorizzazione” del Comune di Roma ci

ha desiderato in maniera febbrile. Centinaia le lettere – in gergo si dice “Determinazioni

dirigenziali” – che gli uffici di questo palazzo ci hanno recapitato, intensificando l’opera avviata

dalla Giunta Marino. La solerzia di questi uffici non si è fermata neanche di fronte alle festività.

Persino a Capodanno oscuri funzionari hanno lavorato senza sosta. Lettere su lettere. Ultimatum

su ultimatum. In tutti i casi, il messaggio era lo stesso: intimazioni di sgombero, avvio di

procedimenti giudiziari, accuse spropositate di morosità.

Ma chi sono i primi destinatari di queste lettere? I privilegiati di “Affittopoli” ? Così si chiama

l’ultima delle bolle mediatiche esplose in città. Gli amici degli amici degli amici ? Chi specula sul

patrimonio pubblico? No. I primi destinatari di queste lettere sono gli spazi autogestiti di Roma, i

centri sociali, le associazioni, persino i circoli culturali. La città è sull’orlo del fallimento, i servizi

pubblici sono al collasso, gli asili nido vengono privatizzati, la disoccupazione dilaga, i poveri

vengono definitivamente espulsi dai quartieri del centro e confinati nelle periferie. Ma per

cancellare gli spazi sociali e l’autogestione si lavora senza sosta.

Siamo a Roma. Una città allo sbando, dove il pubblico è solo l’altra faccia del privato, e dove la

politica assume il volto della polizia. Dobbiamo andarcene da questi spazi, ci dicono con tono

minaccioso. E usano il ricatto del debito per ipotecare il nostro futuro. Per molti anni, tramite la

delibera 26/1995, ci hanno riconosciuto per il nostro valore sociale. Oggi, in tempi di vendita del

patrimonio, vogliono imporci, d’improvviso, le regole del mercato. Ma noi non ce ne andremo e

non pagheremo. Non siamo in debito con l’amministrazione. Siamo in credito.

Per questo, con altrettanto tempismo, siamo venuti noi da loro, non per riconsegnare le chiavi dei

nostri spazi, o per saldare debiti che non ci appartengono. Siamo venuti ad occupare questi

Siamo gli spazi sociali di Roma, siamo un esempio di uso comune e di gestione virtuosa del

patrimonio pubblico. Senza alcun finanziamento organizziamo servizi e welfare dal basso, sport

popolare, scuole di italiano per i migranti, assistenza legale per i lavoratori precari, attività di

doposcuola nelle periferie e attività ricreative per bambini. Sperimentiamo cultura e musica

indipendente. Nei nostri luoghi si pratica la partecipazione e la democrazia radicale, in una città

dove è saltata persino la finzione del mandato elettivo.

Siamo venuti qui, perché dietro l’anonimato di una macchina burocratica si nascondono delle

responsabilità politiche. Vogliamo che il commissario Tronca apra immediatamente un tavolo di

confronto con le realtà che hanno ricevuto queste lettere. Non ce ne andremo fino a quando

non avremo ottenuto risposte.

Chiediamo una moratoria contro gli sfratti e gli sgomberi. E chiediamo il ritiro della accuse

di morosità e la cancellazione dei debiti.

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