Domenica 17 febbraio il Lab Puzzle festeggerà il suo ottavo anno di (R)esistenza: in questi anni sono stati fatti molti passi avanti in quella che è un’esperienza di autogoverno e partecipazione dal basso legata al territorio a cui appartiene, il Tufello.
Lab Puzzle ospita una biblioteca, un’aula studio, la scuola di italiano per migranti, la scuola popolare, il cohousing giovanile, la scuola di fumetto e illustrazione, ed è promotore di molte altre iniziative. Un tessuto così straordinario di attività – come tanti spazi sociali a Roma – è a rischio di sgombero. Per questo nella stessa giornata di festeggiamenti si terrà un’assemblea con l’amministrazione municipale e le tante realtà del territorio, per avere riconosciuto il valore come bene comune e realtà di autogoverno.
Una risposta dalle istituzioni sarebbe un riconoscimento importante per quello che lo spazio rappresenta e che, negli effetti sul territorio, già è.
Per sostenere lo spazio, si è deciso quindi di lanciare il crowdfunding “Refresh Lab!Puzzle”, significativo per la necessità di lavori strutturali e non più rimandabili.
Occorre fare refresh, completare il puzzle, costruire un ambiente accogliente per tutte e tutti.
Come si costruisce un bene comune come Lab Puzzle, e con quanta resistenza, gioia e partecipazione si va avanti? Lo chiediamo a Maria Chiara Gianolla, fumettista, storyboard artist e illustratrice, responsabile della Scuola di Fumetto e Illustrazione Lab Puzzle.
La scuola di fumetto e illustrazione ospitata dal Lab Puzzle ha come manifesto una citazione di Gilles Deleuze, «Non ogni opera d’arte è un atto di resistenza e tuttavia, in un certo senso, lo è». Cosa significa fare resistenza insegnando l’arte?
«L’arte è resistente di per sé: che la si insegni, che la si faccia, che la si contempli. L’arte rompe e costruisce mondi. E questo cerco di insegnare ai miei allievi: uscite dal seminato, tirate fuori la vostra parte creativa, siate coraggiosi, studiate tanto, andate a fondo e poi rompete tutto.»
La scuola di fumetto ha fatto molta strada assieme al Lab Puzzle, dai corsi classici a workshop con artisti di fama internazionale. Cosa hanno lasciato alla scuola questi artisti, oltre ai bellissimi disegni sui muri dell’aula?
«E ti pare poco?! Io lo dico sempre: se ci sgomberano la prima cosa che faccio è smurare la parete (che io chiamo “la nostra Cappella Sistina”). A parte gli scherzi, è raro potersi confrontare con autori del calibro di Gabriele Dell’Otto, Zerocalcare, Sara Pichelli, Alessandro Bilotta e con tutti gli altri mostri sacri del fumetto italiano e internazionale che hanno collaborato con noi, in un clima di assoluta familiarità e vicinanza oltretutto, che è una delle cose che contraddistingue gli spazi sociali.»
La scuola è inserita nel tessuto sociale del Tufello, il quartiere in cui si trova: ci racconti com’è questo legame tra allievi, scuola e territorio?
«Il legame con il territorio è piuttosto difficile perché partiamo dal presupposto che il Tufello è di per sé un quartiere particolare (come tutti i quartieri popolari e periferici) dove le priorità e le emergenze sono ben altre che frequentare un corso di fumetto.
Gli ordini di problemi sono due: da un lato la difficoltà di entrare veramente in contatto con la comunità che è talmente variegata che a volte risulta impenetrabile, dall’altro la difficoltà di coinvolgere persone esterne al quartiere (la maggior parte dei nostri iscritti) che non sa come raggiungere un luogo così separato e mal collegato con il resto della
città. Però alla fine ci si riesce ogni anno, con grande soddisfazione.»
Qual è il tuo rapporto con la scuola e quello invece della scuola di fumetto con tutto il Lab Puzzle? Cosa significa condividere spazi e tempi e insegnare questa condivisione anche agli allievi?
«Il mio rapporto con la scuola è totalizzante. Gran parte del mio tempo va a costruire una didattica coerente e ben strutturata per tutti i corsi (ogni anno aumentano), per tutte le fasce d’età, che coinvolga docenti esterni, professionisti, fatta anche di workshop ogni anno diversi. Inoltre io stessa insegno all’interno dei corsi. Se poi, oltre a questo, consideriamo il tempo dedicato alle assemblee organizzative, alle pulizie e alla manutenzione dell’aula (e della struttura in generale), alla comunicazione, agli eventi di presentazione ecc., diventa chiaro come il tempo da dedicare alla scuola sia tantissimo.
Animare uno spazio autogestito significa anche questo e non è sempre facile. La cosa difficile è spiegare che proprio perché è uno spazio autogestito deve essere trattato con maggior cura e attenzione perché si regge unicamente sulle forze volontarie di chi lo vive. Devo dire che i miei allievi in questo senso rispondono benissimo, con spirito di partecipazione e di condivisione.»
Il progetto della scuola di fumetto e illustrazione ha posto basi solide in passato e continua con successo ora con corsi per principianti e per disegnatori più esperti, molti dei quali hanno esposto le proprie produzioni in manifestazioni come IFest e Crack.
Quali sono gli obiettivi futuri? Cosa ti aspetti non solo dalla scuola ma anche dai tuoi allievi?
«Ogni anno si ricomincia. È impossibile fare dei veri e propri piani. È un progetto forte e ambizioso ma fondato comunque sull’incertezza. Siamo uno spazio autogestito che fa fatica a trovare le risorse anche solo per svolgere la manutenzione ordinaria degli spazi oltre a vivere sotto la minaccia costante di un ipotetico sgombero. Io stessa alle volte faccio fatica a tenere le redini di tutto. Ci sono tanti docenti che collaborano, ma restano comunque esterni. L’organizzazione dipende interamente da me (e dall’intero Lab Puzzle). Inoltre sì, stiamo crescendo, ma dobbiamo ancora lavorare tanto per farci conoscere (e farci raggiungere soprattutto) e quindi ogni anno è un’incognita. Non si sa mai quali corsi partiranno e dove ci saranno più o meno iscritti. Un dato che riscontro sempre di più, inoltre, è che ormai è difficilissimo prendere e mantenere un impegno perché ognuno fa vite confuse e totalmente fragili (soprattutto chi decide di rivolgersi a una scuola popolare e a uno spazio sociale) e spesso le condizioni di lavoro (precarie, senza tutele, con turni a rotazione, senza orari fissi) non consente neppure di ritagliarsi due ore la sera dalle 19.30 alle 21.30 che una volta era una fascia oraria al di fuori di qualsiasi orario lavorativo. Oggi no. Tutto cambia, continuamente e noi ogni anno ci riorganizziamo di conseguenza.»
Nei tuoi corsi, ai quali ho avuto la fortuna di assistere, metti dentro tanto di te e della tua esperienza di artista: ma quanto danno invece a te i tuoi allievi?
«Cerco di dare loro quello che è mancato a me quando studiavo: il contatto più diretto possibile con il mondo reale del fumetto, presentando agli allievi le reali difficoltà di questo mondo, mettendoli alla prova attraverso mostre, concorsi, fanzine, progetti dove sono costretti a seguire una tema, a rispettare una scadenza, a cimentarsi con la realizzazione di una storia o a produrre qualcosa di proprio. Dove si trovino nella condizione di affrontare un pubblico e tutte le difficoltà dell’autoproduzione e dell’autopromozione e poi fornendo l’opportunità del dialogo diretto con autori, disegnatori, editori, professionisti che spesso a loro volta propongono progetti che
mettono gli studenti nuovamente all’opera. Cerco di fornire stimoli e occasioni concrete. Loro mi restituiscono un grande entusiasmo, confesso che quando riconosco il frutto di tutto questo impegno mi emoziono molto. Inoltre mi restituiscono nei fatti la realizzazione dell’idea politica che ha dato avvio a tutto: che si possa studiare e formarsi nel campo del fumetto anche a condizioni popolari, in un momento in cui tale possibilità è del tutto negata dalla scuola pubblica (non si studia più il disegno neppure nei licei artistici e il fumetto fa ancora fatica ad entrare nei programmi di letteratura) ed è data solo da scuole e corsi privati (quindi non accessibili a tutti). E qui chiudiamo il cerchio con la domanda inziale sulla citazione di Deleuze e l’idea che l’arte sia rivoluzionaria.»
Se non conoscete il Lab Puzzle, la festa per il suo ottavo anno è l’occasione giusta: otto anni di attivismo, autogestione, democrazia dal basso, gioia e partecipazione, e un programma molto ricco: dalla presentazione del libro di Irene Ranaldi, Passeggiando per la periferia romana alla scoperta del quartiere, all’apericena al Csa Astra in Via Capraia 19, al dj set di Bear Bros fino alla conclusione con il concerto acustico di Los3saltos.
Sarà una festa lunga un giorno
(di Giorgia Sallusti)