L’estate 2024 resterà nella storia della comunità trans italiana e internazionale in virtù di una sentenza epocale emessa dalla Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi, come è nelle sue prerogative, sulla conformità alla Costituzione Italiana di alcune norme che regolano la vita delle persone trans nel nostro Paese.
A sollevare la questione presso il Tribunale ordinario di Bolzano era stata una persona non binaria AFAN (assegnata F alla nascita) che si era rivolta alla Corte per il procedimento di rettifica anagrafica che prevedesse, oltre alla registrazione del nome di elezione, la scelta di un genere che non fosse banalmente e binariamente designato con la M.
L’Avvocato Schuster aveva fornito al Giudice tutta una serie di elementi che l’avevano convinto a rimandare la questione, come previsto dal nostro ordinamento, alla Corte Costituzionale.
Questo passaggio all’Alta Corte per questione di competenza mi aveva fatto già ben sperare, perché il lavoro di Schuster (Rete Lenford) era stato certosino e il Giudice stava già sostanzialmente aprendo una finestra sul futuro dicendo che gli sembrava proprio anti costituzionale privare una persona della sua vera identità e quindi dei diritti che da quella identità derivano. Lo Stato rimuove gli ostacoli, del resto.
Ma non può rimuoverli il Giudice di Bolzano perché per fortuna c’è ancora la divisione dei poteri in questo Paese – e questa storia ci dice anche perché dobbiamo tenercela stretta.
Insieme alla richiesta di pronuncia, la Corte riceve anche una cosiddetta “opinione scritta” a titolo di amicus curiae da parte della stessa Rete Lenford che la scrive intanto utilizzando i tanti odiati asterischi e schwa e poi la scrive a mio modesto parere anche bene, andando a citare dati e ricerche sulle condizioni delle persone non binarie, dando il proprio parere sul “terzo genere” e sulla autorizzazione agli interventi chirurgici che era l’altra questione sollevata dalla persona ricorrente a Bolzano e da lì alla Corte Costituzionale.
Insomma, le premesse per una vittoria c’erano tutte e così da gennaio siamo arrivatə alla fatidica pronuncia di luglio che, a dispetto di ciò che dice Pillon, ha dato ragione alla persona ricorrente e a tutta la comunità trans.
La sentenza ha stabilito che è effettivamente discriminatorio e anticostituzionale che lo Stato non riconosca le persone non binarie ed è stato sancita la legittimità delle carriere alias come pratica “tramite le quali diversi istituti di istruzione secondaria e universitaria permettono a studenti di assumere elettivamente, ai fini amministrativi interni, un’identità – anche non binaria – coerente al genere percepito”.
Ovviamente per questione di competenza, per via di quella divisione dei poteri tanto invisa alla destra di cui Pillon fa parte, né la Corte Costituzionale né il tribunale di Bolzano possono autorizzare l’introduzione del cosiddetto “terzo genere” espressione che non condividiamo ma che usiamo citando gli atti giuridici.
Questo diniego è quello che ha indotto, maldestramente e in malafede, proprio l’avvocato Pillon a dire che la lobby gender aveva perso e quindi bye bye no binary.
La realtà è che i nostri dati anagrafici, i miei come quelli di Pillon, sono rilasciati dallo Stato ed è lo Stato che deve fare una riforma anagrafica creando nuovi sistemi informatici per nuovi codici fiscali per identità che non aveva mai considerato.
Insomma, la famosa transizione digitale di cui tanto si parla potremmo per ironia essere proprio noi persone trans a dare l’impulso che manca.
Sull’altro punto sul quale era stata chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale, ossia sulle autorizzazioni agli interventi chirurgici la questione è più complessa di quanto sia stata descritta con entusiasmo ǝ faciloneria da qualche attivista solo pochi minuti dopo la pubblicazione delle note di comunicato della Corte.
Non mi sento di poter dire con assoluta certezza che la Suprema Corte abbia detto che non servono più autorizzazioni dei giudici per gli interventi chirurgici, trovo sia irresponsabile dare false speranze e far credere che basti presentarsi presso un qualsiasi ospedale pubblico chiedendo di essere messə in lista senza alcuna sentenza.
La Corte dice che è sempre comunque il giudice a stabilire se la persona ricorrente è “sufficientemente maschio femmina e a questo punto anche non binaria” e nella sentenza si parla di competenti di percorsi.
Su questa parte preferisco e preferiamo continuare a studiare la sentenza per dare a tuttx noi le corrette informazioni e i mezzi giusti per difenderci da questo mondo che non ci aveva previstx.
Testo e audio di Milo Serraglia