IN MEMORIA DI TRUGOY

Camicie variopinte, capigliature bizzarre, grafiche tinte di fucsia corredate di margherite giganti e simboli della pace.
A leggerla, sembra tutto tranne che la
descrizione di un gruppo Hip-Hop di fine anni 80, periodo in cui andavano per la maggiore tute della Fila, cappelli Kangol, occhiali da sole a coprire sguardi truci. Ma
dietro quell’aspetto alternativo non si celavano figli dei fiori, bensì tre ragazzi di Long Island che avrebbero dato il via ad un breve ma intenso cambiamento nel mondo Hip-Hop: ladies and gentlemen, i De La Soul.
Me Myself And I” uscì ad aprile del 1989 e fece il botto a livello internazionale. Basatasul sample virale di “(Not Just) Knee Deep” dei Parliament e su un ritornello quanto efficace, portò i De La Soul alla ribalta con ogni tipo di pubblico. Ancora oggi, quasi tutti quelli che conosco, compreso chi non ha mai ascoltato rap, mi parla dell’impatto che questo pezzo ha avuto sulla sua adolescenza. Poco prima era uscito l’album d’esordio, “3 Feet High And Rising”, il cui successo fu conseguenziale, aiutato anche dal singolo precedente “Say No Go” (che campionava Hall & Oates) e dal successivo
Eye Know” (che saccheggiava, tra gli altri, Otis Redding e gli Steely Dan). Ed una miriade di diversi campionamenti erano utilizzati in maniera geniale lungo tutto il disco, prodotto in maniera innovativa ed unica da quel maestro dei beat chiamato  Prince Paul.

Proveniente dagli Stetsasonic, gruppo fondamentale della golden age una cui canzone (“Rock De La Stet”) aveva ispirato il nome ai De La Soul stessi, Prince Paul si era imbarcato in questa nuova avventura per cercare più spazio come producer, visto che con Daddy-O e soci era limitato al deejaying più che al beatmaking.

E la fusione fu magica quanto immediata. Il sound dei De La Soul era inconfondibile così come tutto ciò che li contraddistingueva.

I rappers Trugoy (che poi sarebbe yogurt al contrario) e Posdnous (al contrario, sounds op, vale a dire “operativo del suono”) si facevano chiamare anche Plug One e Plug Two (ovvero “prese uno e due” intese come prese in un immaginario che li vedeva collegati da Marte tramite microfoni) e a completare il tutto c’era la terza presa, Plug Three, il dee-jay Maseo che occasionalmente si divertiva anche ad aggiungere qualche rima. L’immagine post-hippie, il suono che portava l’Hip-Hop in un ambito funky psichedelico e i versi spaziali rendevano il trio una sorta di reincarnazione moderna delle stelle del P-Funk mescolate ai Beatles di Sgt. Pepper’s. E nonostante il loro non allinearsi alle tendenze dell’Hip-Hop del periodo, spesso anche criticate con pungente ironia in alcuni pezzi, furono subito coccolati dalla scena newyorkese e non solo, perché nei loro testi c’era tanta sostanza, l’attitudine era ben lontana dal mainstream e fondamentale nelle loro composizioni era il ruolo dell’afrocentrismo e di una tendenza pro-black, evidenziata non solo da aspetti del look ma anche in molti passaggi dei testi. Testi che tra una bizzarria e l’altra, non escludevano episodi più crudi e legati al mondo street più vicini all’Hip-Hop classico, come “Ghetto Thang” o “Jenifa Taught Me

Eppure nel mettersi a lavoro per il loro secondo album, che sarebbe uscito nel 1991, i De La Soul sentirono il bisogno di scrollarsi quell’immagine di “strambi” che la stampa continuava a cucirgli addosso.

Così, anziché seguire la strada più facile, il cambiamento fu drastico a partire dall’emblematica copertina in cui campeggiava il disegno di un vaso di fiori distrutto corredato dal titolo ancor più esplicito: De La Soul Is Dead.
Ma in realtà il mondo De La era tutt’altro che morto: nel frattempo infatti si era consolidato il nucleo che spostò il focus dell’Hip-Hop dall’aggressività all’afrocentrismo, chiamato Native Tongues, e che oltre ai De La contava come membri originali i Jungle Brothers ed i Tribe Called Quest. I tre gruppi in questione hanno influenzato in maniera decisiva il sound di lì a venire e sono centinaia gli artisti
che si dichiarano discepoli di quel groove. Nel frattempo De La Soul Is Dead, a dispetto di un messaggio apparentemente più cupo e meno giocoso, scalava le classifiche come il suo predecessore, soprattutto grazie ai successi di “Ring Ring Ring” e “A Roller Skating Jam Name Saturdays”, pezzi che mescolavano con sapienza funk e soul all’Hip-Hop ed i cui video circolavano sugli schermi di tutto il mondo. Prince Paul era sempre al timone ed il feeling era intatto, così come la capacità di alternare brani più gioiosi ad altri più pesanti, su tutti “Millie Pulled A Pistol On Santa” e “My Brother’s A Basehead” che trattavano rispettivamente i problemi degli abusi sessuali e della dipendenza dalle droghe.

I primi anni 90 furono gli anni della definitiva esplosione mondiale del gangsta-rap, culminata con l’uscita di “The Chronic” di Dr. Dre nel 1992.

L’afrocentrismo e l’attivismo politico nell’Hip-Hop sembravano voler essere messi da parte a scapito di un rap privo di positività, a dire di molti anche per volere dell’establishment che mal sopportava certe tendenze in grado di svegliare le coscienze dei giovani, soprattutto della comunità afro-americana. Ma teorie a parte, senza dubbio l’onda creata da De La e soci sembrava in lento declino quando nel 1993 uscì il loro terzo lavoro, chiamato Buhloone Mindstate” che in effetti non scalò le classifiche come i primi due. Il lavoro però testimoniava in maniera precisa l’evoluzione del gruppo, che sempre guidato da
Prince Paul, si concentrava su un ritmo più essenziale ed allo stesso tempo ancor più variegato, coinvolgendo ospiti quali il grande trombonista Maceo Parker o il rapper giapponese Takagi Kan, oltre a nomi più legati al loro mondo come i compianti Guru e Biz Markie. E’ un album che è cresciuto ad ogni ascolto e forse quello che è invecchiato meglio tra i primi tre, e ad oggi probabilmente il mio preferito in assoluto.

I De La Soul hanno anche il merito di aver lanciato vari artisti che sarebbero esplosi in futuro, come nel caso di Mos Def, presente nel loro quarto album, “Stakes Is High”, che vide la luce nel 1996 ed il primo senza la supervisione di Prince Paul. In studio si affacciò un giovane Jay Dee (poi noto anche come Dilla) e le sue influenze soul/R&B permeano il sound del disco, che ottenne buon successo con singoli come Itsoweezee” e “4More” e che destò anche qualche polemica per la presenza in alcuni passaggi apparentemente rivolti ai testi di altri rappers (“I’ve got questions about your life if you’re so ready to die” sembrava un riferimento a Notorious B.I.G. il cui album si intitolava appunto “Ready To Die”). D’altronde i De La Soul hanno sempre mantenuto fermo il loro stile senza mai piegarsi ad alcuna tendenza, rivendicavano il diritto di sorridere, di parlare di pace e di non far sembrare tutto legato al materialismo, spesso con irriverente sarcasmo, come testimonia lo splendido video di “Ego Trippin’ (Part Two)” contenuta in “Buhloone Mindstate”.

Negli anni 2000 i De La Soul cercavano di alimentare la loro creatività in una fase abbastanza stagnante per l’Hip-Hop ma rimasero intrappolati in contenziosi con la loro etichetta Tommy Boy che non gli permisero di completare quella che doveva essere una triade con il tema dell’intelligenza artificiale (Art Official Intelligence, abbreviato in AOI). Uscirono due dei tre album previsti, ed il primo , “Mosaic Thump”, pubblicato nel 2000 aveva più sostanza e più focus del successivo “Bionix” (2001) che sembrava troppo legato a suoni morbidi e poco ispirati, pur contenendo il singolo “Baby Phatdal sound contagioso e con la presenza di Devin The Dude.

Ma il ritorno alla grande i De La lo fecero nel 2004 con “The Grind Date”.

Album di estrema maturità, vedeva il trio avvalersi di producers che hanno dato il loro meglio per questo lavoro, da Madlib a Jake One, da Supa Dave West a Jay Dee e 9th Wonder. Il sound è impeccabile ed i testi sono di rara intelligenza, una vera e propria bibbia che sembrava descrivere problemi e criticità non solo dell’Hip-Hop ma anche della comunità urbana dell’epoca. L’album si chiude con uno dei brani più belli del decennio, quel “Rock Co.Kane Flow” che vede la partecipazione di un MF Doom scatenato e che eseguita dal vivo era corredata da una sorta di coreografia robotica che rendeva il tutto ancora più magico.

E dal vivo i De La Soul magici lo erano assolutamente, capaci di dare il massimo di fronte a palazzetti pieni come a poche persone (ed ahimè in qualche passaggio in Italia è successo di essere veramente pochi) e di dimostrare la loro grandezza e la loro personalità. La prematura e triste morte di Trugoy ha messo probabilmente fine alla discografia di un gruppo fondamentale, che aveva trovato un ultimo spunto nel 2015 con l’album “And The Anonymous Nobody” nato grazie ad un crowdfunding. Ma il destino beffardo ha voluto che, dopo un’infinita querelle, l’intero catalogo del gruppo sarà finalmente disponibile sulle principali piattaforme di musica liquida proprio pochi giorni dopo la scomparsa di Plug Two, così come la ristampa del loro album d’esordio sia in vinile (speriamo si senta meglio della prima stampa) che in CD. Ed allora approfittatene per riscoprire degli artisti veri, e ancora di più per approfondirli nel caso non li conosciate. I più giovani in particolar modo.

Perché il mondo ha ancora tremendamente bisogno dei De La Soul