Articolo a cura di Chiara Moncada

Il nome Luis Sepulveda ha sempre generato in me le immagini spettacolari di quella terra rossa come il fuoco e affilata come lame, che è l’estremità sud del continente americano. Le immagini regalateci da Sepulveda nel suo Patagonia Express, rappresentano per me l’essenza stessa del viaggio, dell’avventura, dell’incontro, della scoperta. Era il 1995 e io avevo 16 anni quando ho letto i suoi appunti di viaggio presi lungo la terra del fuoco e l’idea avventurosa di viaggi in solitaria nascono nella mia immaginazione grazie alle parole di Sepulveda. I brevi racconti, i dettagli della vita di persone comuni incrociate durante il viaggio, la presenza costante dell'elemento natura, della forza del mare e dell’Oceano Pacifico, sono tasselli fondamentali di un puzzle variopinto e grande più o meno come tutta l’America Latina, che Sepulveda ha cantato nelle sue opere per tutta la vita.

Una di quelle vite che vale la pena conoscere, raccontare, ricordare.

Cresciuto con il nonno paterno, anarchico andaluso – fuggito per una condanna a morte che gli pendeva sulla testa – e lo zio anch’egli anarchico, Luis imparerà presto a conoscere e fare suoi concetti importanti come la libertà, la giustizia, la politica; idee che a sua insaputa, così come
avevano tracciato la storia della sua famiglia, si preparavano a scorrere nella sue vene. Non è possibile infatti parlare di Sepulveda senza soffermarsi ad osservare il contesto storico in cui è vissuto, di cui non solo è stato testimone, ma anche voce narrante.

Da studente della facoltà di Arte dell’Università del Cile, amante del teatro e desideroso di diventare regista e drammaturgo, Sepulveda diventa protagonista di uno dei periodi più belli della storia del Sud America, i mille giorni della presidenza Allende, tre anni – dal novembre 1970 all’11 settembre 1973 – che lo stesso scrittore ha definito “un sogno bellissimo”. Durante la preparazione della tesi, incentrata sull’opera di Pirandello, Sepulveda, allora ventenne e già militante del partito socialista e rappresentante del sindacato degli studenti, viene contattato da un dirigente del partito e incaricato di divenire parte della scorta personale del “Compagno Presidente”, il cosiddetto GAP, Grupo de Amigos Personales. La nomina assegnatagli significa moltissimo per il giovane studente, che definirà quel momento – e ciò che avrebbe portato con sé – la dimostrazione più grande di generosità ricevuta dalla vita. Nelle tante interviste rilasciate da Sepulveda, così come in molti dei suoi libri, risulta predominante il ricordo di quei mille giorni e l’insegnamento che quell’esperienza ha lasciato in lui.

Allende, diceva Sepulveda, aveva capito la singolarità del suo paese e proprio per questo, per ciò che aveva capito del Cile, era convinto della possibilità di cambiare la società senza il ricorso alla lotta armata, senza il conflitto violento tra la forza popolare e il capitale. Era convinto, Allende, che la mobilitazione sociale sostenuta da un sempre maggiore sviluppo della coscienza collettiva, avrebbe condotto ad una trasformazione democratica del paese. In modo pacifico. E proprio quest’ultimo punto ha rappresentato, secondo Sepulveda, la minaccia più grande avvertita dal resto del mondo, in particolare dagli Stati Uniti, che individuavano nella modalità pacifica della transizione, un pericolo che avrebbe potuto divenire reale e concreto se solo si fosse atteso il tempo necessario, cioè la replicabilità del modello socialista e pacifico, da parte di altri paesi del cono sud. Quello che è successo in Cile nel 1973 rappresenta per Sepulveda un tassello della storia che è necessario ricordare, tenere vivo. Ancor più, sottolinea Sepulveda nelle tante interviste, è importante conservare la memoria dell’esperienza del “sogno collettivo” generato in quei mille giorni di Presidenza Allende. E nonostante l’altissimo prezzo pagato, la memoria di quel sogno rimarrà nella coscienza mondiale collettiva.

Forse Sepulveda ci voleva dire che ciò che è stato è patrimonio del futuro, e per questo è necessario conservarlo nella memoria.

La storia di Luis Sepulveda, la storia della sua vita, personale e politica, è segnata da così tanti avvenimenti che non basterebbe un libro, figuriamoci un piccolo articolo. Basti ricordare il lungo periodo di prigionia e tortura vissuti dallo scrittore a seguito del golpe di stato del 1973 che istituì una tra le più sanguinose e repressive dittature di sempre, il regime militare di Augusto Pinochet. O l’esilio cui fu forzato per sedici lunghissimi anni. O ancora, il suo unirsi ad una spedizione dell’UNESCO che aveva l’obiettivo di studiare l’impatto della civiltà su alcune comunità indigene dell’Amazzonia, esperienza fondante per la scrittura dei uno dei suoi romanzi più acclamati: Il vecchio che leggeva romanzi d’amore.
L’impegno politico affiancato alla scrittura, è stata una costante della vita di Sepulveda, due storie parallele, imprescindibili l’una dall’altra. I suoi libri, così come i suoi film sono anche il prodotto del suo fortissimo attivismo politico, come dimostrato dal suo sostegno ai popoli indigeni (Indios Shuar e Mapuche), o alla rivoluzione sandinista nicaraguense che lo ha condotto nel 1979 ad unirsi alle Brigate Internazionali Simon Bolivar, o dall’impegno speso durante gli anni ’80 insieme a Greenpeace.

Si scopre poi, come tante volte succede, che il destino di una storia o di una persona venga deciso da un caso fortuito, a volte da un dettaglio, che ha però la forza di imporsi sugli eventi e diventare un fiume invisibile di portata mastodontica e trasportare i fatti, come imbarcazioni, proprio lì dove la corrente inesorabile ha deciso, nella foce delle cose, dove tutto si mescola ma dove tutto anche comincia.
Luis Sepulveda inizierà a prendere confidenza con la scrittura passando attraverso i microfoni di una radio.
Saranno gli adattamenti teatrali scritti per una radio di Santiago a portare successivamente Sepulveda a scrivere per un noto giornale, collaborazione che gli aprirà le porte alla carriera di scrittore. Il come sia approdato alla radio, lo lasciamo alla curiosità di coloro che hanno voglia di conoscere a fondo la vita di Sepulveda. Una vita costellata di lotte e conquiste, di grandi perdite e importantissimi incontri, di episodi capaci di sciogliere gli sguardi più severi, come ci ricorda senza esitazione l’immensa poesia raccontata nelle sue favole.
Nella mia mente, Sepulveda sarà sempre legato alle immagini meravigliose di una Patagonia irraggiungibile e definitivamente immaginaria.
Una terra rossa e bellissima, un luogo dove si sta tra la terra e il cielo, dove le persone si incontrano e pacificamente convivono, dove il viaggio altro non è che il passo necessario e ineluttabile di ogni storia.

Il senso iniziale e finale insieme, di qualsiasi grande e piccola vita.

Luis Sepúlveda Calfucura nasce a Ovalle nel 4 ottobre 1949  e muore a Oviedo il 16 aprile 2020

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