Venerdì 10 Marzo, a Roma, la Piazza del Campidoglio è stata inondata da una marea eterogenea composta da associazioni, spazi sociali, comitati e singoli cittadini.

In una partecipatissima e colorata assemblea tutte queste realtà si sono confrontate condividendo specificità ed esperienze per ragionare assieme sulla costruzione di un regolamento dei Beni Comuni Urbani attraverso un processo pubblico partecipato e condiviso con tutta la città.

Gli Audio delle varie realtà

Celio Azzurro 

Centro Ararat

Scuola Popolare di Musica di Testaccio

Accademia Internazionale di Teatro

Associazione Culturale Torraccia

C.S.O.A Corto Circuito

Palestra Popolare di San Lorenzo 

LSA 100 Celle – Casale Falchetti 

CSA La Torre 

Alcune foto della giornata

Il patrimonio immobiliare pubblico deve essere considerato un bene comune. Non si tratta di uno slogan, ma di una indicazione precisa: se un bene è “comune”, significa che non appartiene solo al Comune di Roma, ma è nella disponibilità di tutti i cittadini, che devono poterne decidere insieme l’uso e potervi accedere liberamente. Questa è la sfida che Decide Roma, da mesi, sta lanciando a chi oggi governa questa città: la sfida di aprire, sul terreno del patrimonio pubblico immobiliare, un processo permanente di democrazia diretta e di partecipazione dal basso.

Da troppo tempo le associazioni e gli spazi sociali vivono nell’emergenza, nella consapevolezza che da un giorno all’altro potrebbero venire sgomberati anni di lotte, di fatica, di solidarietà, di cooperazione, di mutualismo, di relazioni, di arte, di cultura, di immaginazione. Alla minaccia di questi sgomberi, ordinati dalla famigerata delibera 140 della Giunta Marino e dalla pressione indebita della Corte dei Conti, con incredibile ritardo la Giunta Raggi è riuscita a rispondere con una delibera piccola piccola, con un atto che in sostanza ripropone la stessa 140, ordinando di proseguire gli sgomberi, partendo sì dalle realtà commerciali, ma proseguendo prima o poi con le realtà sociali e associative. Tanto sforzo per riproporre un atto quasi identico a quello della Giunta Marino, che tanti danni ha prodotto in questi ultimi drammatici anni. Un atto utile, al massimo, per prendere tempo: tempo utile per scrivere un nuovo Regolamento sulle concessioni, che dovrebbe servire a riordinare l’intero settore. È proprio sui contenuti di questo futuro Regolamento che il 10 marzo ci mobilitiamo, con istanze precise.

1) Scrittura partecipata del nuovo Regolamento. Il Movimento 5 Stelle, che oggi governa Roma, ha fatto della trasparenza e della partecipazione, da sempre, il suo cavallo di battaglia. Eppure, su un tema così caro a una parte così importante della città, sembra che il M5S preferisca nascondersi negli uffici dei Dipartimenti, nonostante le ripetute ma inutili promesse di partecipazione. È indispensabile che venga avviato, immediatamente, un confronto pubblico e partecipativo sui contenuti di questo Regolamento. È inammissibile concepire la partecipazione come la mera richiesta del consenso che arriva alla fine di un lavoro svolto nell’oscurità, quando ormai si sono stabilite le linee guida principale. Al contrario, occorre avviare un confronto schietto in cui le istanze provenienti dai cittadini vengano considerate, discusse, valorizzate, accolte.

2) Reale riconoscimento del valore delle realtà che esistono sul territorio. Centri sociali, centri interculturali, teatri, scuole di musica, presidi sanitari, onlus di ogni genere, associazioni di sostegno ai malati, organizzazioni di volontariato. Tutto ciò che per decenni ha provato a rendere migliore questa città, rischia di finire polverizzato dal tritacarne di una burocrazia cieca e sorda, e di una politica incapace di tutelare il meglio che una città esprime. Riconoscere il valore sociale delle realtà sociali significa – concretamente – mettere la parola fine alla vera e propria truffa che oggi attanaglia quelle realtà: decenni di mala gestione amministrativa del patrimonio pubblico da parte degli uffici vengono oggi scaricati su quelle associazioni, nei termini della assurda richiesta di centinaia di migliaia di euro. A questa truffa, animata dalla Corte dei Conti, la politica deve avere il coraggio di mettere fine, riconoscendo che le realtà sociali hanno effettivamente avuto (e avranno sempre) diritto ai canoni agevolati che le norme stesse hanno sempre previsto. Ma riconoscere il valore delle realtà sociali significa riconoscere il loro diritto “naturale” alla permanenza nei luoghi in cui sono cresciute, in cui hanno intessuto relazioni sociali, in cui sono diventati punto di riferimento. Significa garantire loro – attraverso una norma transitoria adeguata – un ambito di legalità, al quale oggi sembra impossibile accedere.

3) Riconoscere il metodo dei beni comuni urbani. Dalle pessime bozze di Regolamento che le burocrazie dipartimentali hanno scritto per conto dei politici (le uniche bozze pubbliche, finora), emerge di fatto un disconoscimento radicale del metodo e dei valori dei cosiddetti “beni comuni urbani”. Essi non sono uno slogan, ma bensì una prassi amministrativa ampiamente consolidata in circa di 100 città d’Italia, che valorizza le esperienze e le comunità territoriali nella gestione dei beni considerati comuni. Sembra incredibile, ma fu la stessa Sindaca Raggi a presentare, nella scorsa consiliatura, una bozza di Regolamento sui beni comuni urbani; su questo tema, d’altronde, è stata svolta tutta la campagna elettorale di chi oggi governa Roma. Nella proposta di Regolamento di cui discutiamo oggi il cambio di rotta è sostanziale e ingiustificabile: si intende il patrimonio pubblico per lo più come un mezzo per riempire le casse capitoline; si prevedono meccanismi di concorrenzialità fratricida tra le realtà del sociale, basata addirittura sulla “offerta economicamente più vantaggiosa”; si attribuisce all’Amministrazione un potere di programmazione dall’alto e di progettazione unilaterale, un potere che quell’Amministrazione non è (né sarà mai) in grado di esercitare senza la partecipazione viva e attiva dei cittadini. I bandi pubblici, sin qui, hanno innegabilmente mostrato enormi limiti applicativi. Contro la logica del bando, devono essere riconosciute altre procedure di evidenza pubblica che valorizzino l’autonoma iniziativa delle persone sui territori, la cooperazione invece che la concorrenzialità, il valore sociale invece che quello economico, la partecipazione dal basso invece che il governo dall’alto.

Su questi temi, Decide Roma si mobilita venerdì 10 marzo, nella piazza del Campidoglio, nella piazza della città, nella nostra piazza. Mostreremo alla politica ciò che siamo, il nostro valore sociale, il nostro impegno, le nostre differenze, la nostra autonomia, la nostra solidarietà. Su questi t
emi, vogliamo discutere con tutti i Consiglieri Capitolini, ed in particolare con la Commissione Patrimonio, ancora così chiusa alle istanze della città. Vogliamo discutere con gli Assessori Bergamo e Baldassarre, i primi a candidarsi come interlocutori della Roma solidale, e con l’Assessore Mazzillo, le cui deleghe gli attribuiscono una responsabilità primaria in questa vicenda primaria. Ma soprattutto, vogliamo discutere con la Sindaca Raggi, la stessa che durante la campagna elettorale fece propaganda sul tema dei beni comuni urbani, anche incontrando Decide Roma e le realtà sociali.

Al di là dei tecnicismi e dei cavilli burocratici, che ad ogni incontro ci vengono opposti, vogliamo dalla Sindaca l’espressione di una volontà politica chiara, che si traduca in atti concreti e coerenti. Decide Roma ha la sua proposta, quella dei beni comuni urbani, e la porterà avanti – come sempre abbiamo detto – con ogni mezzo necessario.