Il testo che segue è il frutto di una serie di riflessioni e di studi elaborati e stimolati in numerosi incontri organizzati da CTRL – Make music free, Radiosonar, Radio Sherwood e Lautoradio, con l’indispensabile contributo di Corrado Gemini, Giovanni Maria Riccio e Gabriele Sgab
L’articolo e’ a cura di Chiara Colasurdo
Negli ultimi anni si registra una moltiplicazione esponenziale del fenomeno delle web radio (accanto all’esistenza delle radio che diffondono in FM).
In particolare di quelle web radio che, rinunciando eticamente agli sponsor ed alla pubblicità, e avendo come scopo la libera circolazione dell’arte e della cultura, nonché la diffusione dell’informazione non speculativa che riguarda tanto gli accadimenti territoriali, quanto quelli più ampiamente globali, si caratterizzano per essere indipendenti, a differenza di gran parte della comunicazione e dell’informazione massmediatica.
É utile, allora, cominciare ad analizzare il fenomeno alla luce delle diverse funzioni che tali radio svolgono nella creazione, nella produzione e nella distribuzione dei prodotti artistici, culturali e informativi, e del carattere squisitamente politico che in tal modo questi strumenti acquisiscono.
Da un lato le radio agiscono il mercato artistico e culturale, mettendone in circolazione i prodotti ai fini della loro diffusione al pubblico e caratterizzandosi, quindi, in questo caso, come strumenti che concretizzano il diritto di ciascuno di accedere all’arte ed alla cultura nei limiti di quelle opere che sono passibili di essere tecnicamente riprodotte; dall’altro lato, queste web radio, producono autonomamente contenuti e informazioni quando, anche attraverso il sempre più diffuso supporto del podcast, realizzano, con il consenso degli autori e degli esecutori delle opere con cui stabiliscono un rapporto diretto, registrazioni di live (concerti, cortei, presentazioni di libri, ad esempio) ovvero quando, intervistando attrici e attori del mondo artistico, culturale e politico producono informazione libera, o ancora nei casi in cui, seguendo i percorsi politici cittadini, nazionali e internazionali, consentono a chiunque di essere informato su ciò che davvero accade sui territori.
Il carattere transmediale della comunicazione radiofonica web, e la sperimentazione di nuovi linguaggi, che si appoggia inevitabilmente anche alle grandi piattaforme sociali, connette strettamente l’attività svolta dalle radio alla disciplina del diritto d’autore in generale, ed in particolare nel mercato digitale, dal momento che da questa normativa dipende la regolamentazione della libera circolazione dell’informazione, dell’arte e della cultura.
Il diritto d’autore, d’altra parte, ha una natura complessa, perché si configura come un diritto proprietario, ma anche come la forma di remunerazione del lavoro creativo.
E allora, il macroscopico tema che è necessario affrontare, anche nella vita delle web radio, è quello della proprietà intellettuale e dei capitali accumulati attraverso la gestione proprietaria dei diritti d’autore, di contro agli usi non commerciali che delle opere vengono fatti.
Per quanto attiene all’industria creativa, quindi, nel mercato discografico, così come in quello editoriale e cinematografico, la pratica della cessione esclusiva e permanente, in cambio di un compenso, del diritto d’autore e dei diritti connessi, dall’autore all’editore, in fase contrattuale, di fatto spossessa l’autore dei diritti sulla propria opera, così dando origine a enormi repertori vincolati dalla proprietà intellettuale delle case di produzione (grandi editori e case discografiche) sulle opere sulle cui riproduzioni, le stesse, monetizzano continuamente[1]. Ad oggi, se si mettono insieme i repertori dei diritti posseduti da Sony, Warner Bros e Universal, si è davanti a più della metà della musica mai pubblicata nel mondo dal 1932, ad esempio.
Per essere attori e attrici consapevoli riteniamo opportuno conoscere quali sono le ultime riforme apportate dall’Unione Europea alla disciplina del diritto d’autore, dal momento che queste, condizionando la circolazione dell’arte, della cultura e dell’informazione, inevitabilmente incidono sull’esistenza stessa non solo delle web radio, ma anche di tutti quegli strumenti di comunicazione on line che diffondono contenuti.
Premettiamo che gli ordinamenti giuridici che compongono l’Unione Europea hanno focalizzato i maggiori sforzi sulla tutela degli investimenti nell’industria creativa, ancor prima che sulla tutela degli autori, creando un sistema che si fonda certo, da un lato, sull’utilità sociale, ma ancor più sull’utilità economica della produzione culturale. Nel diritto d’autore europeo si sono, infatti, dapprima succedute una serie di direttive che regolavano e regolano il software e i data base, “prodotti difficilmente riconducibili sia al concetto di arte che a quello di cultura”.
Occorre porsi una serie di domande: nel contesto odierno, in cui sia la produzione che la distribuzione artistica e culturale sono iper-agevolate rispetto al passato, cosa vuol dire porsi in maniera veramente critica rispetto all’attuale industria creativa, cosa vuol dire essere indipendenti? Inoltre, è sempre giusto remunerare il diritto d’autore? Nei casi in cui la diffusione di un opera non abbia scopo commerciale, il pagamento dei contenuti protetti dal diritto d’autore può non essere corrisposto?
La direttiva 2014/26/UE, la c.d. direttiva Barnier
Alcune risposte a queste domande le troviamo già all’interno della normativa italiana che recepisce la direttiva 2014/26/UE, la c.d. direttiva Barnier, sulla “gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multi territoriali per i diritti su opere musicali per l’uso on line nel mercato interno”. Questa direttiva si è occupata della liberalizzazione della gestione dei diritti d’autore nel mercato unico europeo, smantellando, sostanzialmente, i monopoli nella gestione dei diritti, detenuti dalle società di gestione collettiva dei diritti d’autore, in alcuni degli stati membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, ove il monopolio de quo era detenuto dalla Società Italiana Autori e Editori (SIAE), e che sta consentendo la proliferazione di organismi di gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi.
La Direttiva Barnier è stata recepita in Italia con legge delega n. 170 del 2016 cui sono seguiti una serie di decreti legislativi attuativi della delega, il più rilevante dei quali, ai nostri fini, è il d. lgs n. 35/2017. Questo decreto legislativo, in primo luogo, disciplina gli organismi di gestione collettiva dei diritti d’autore. Tali organismi, ai fini della loro legittima esistenza, devono avere un’organizzazione interna a base democratica, prevedendo statutariamente meccanismi di controllo e di partecipazione diretta e delegata dei propri iscritti al governo dell’organismo stesso; altra prerogativa indispensabile, affinché gli organismi di gestione collettiva possono esercitare l’attività per cui vengono costituiti, attiene alla redistribuzione degli introiti e degli utili derivanti dalla riscossione dei diritti: a ciascun iscritto secondo l’uso della propria opera e in ogni caso, quanto agli utili, esclusivamente per gli scopi della stessa organizzazione, non potendo, gli organismi di gestione collettiva, avere fini di lucro. Possono poi legittimamente esercitare attività di intermediazione nella riscossione del diritto del diritto d’autore le c.d. “entità di gestione indipendenti” stabilite all’estero e che sono vere proprie società con fini di lucro – è il caso di Soundreef, ad esempio, con sede legale in Inghilterra che può legittimamente svolgere la propria attività in ciascuno degli stati membri dell’Unione, Italia inclusa – e che non hanno vincoli né in merito alla organizzazione interna, né con riguardo alla destinazione degli utili.
Ciascuna collecting society, quindi, potrà bussare alla porta di chi utilizza o diffonde le opere, per tutelare i diritti dei propri iscritti.
É utile, poi, far cenno ad altri articoli contenuti nel d. lgs n. 35/2017 che è opportuno conoscere anche per immaginare delle vie di fuga dalle stringenti regole che disciplinano il diritto d’autore.
In primo luogo l’art. 4, che si occupa di dettare i “…principi generali e i diritti dei titolari del diritto d’autore” in particolare prevedendo che “i titolari dei diritti, qualora affidino a un organismo di gestione collettiva o un’entità di gestione indipendente la gestione dei propri diritti, specificano, in forma scritta, quale diritto o categoria di diritti o tipo di opere e altri materiali protetti, affidano alla loro gestione. Resta in ogni caso salvo il diritto dei titolari dei diritti di concedere licenze per l’uso non commerciale di diritti, categorie di diritti o tipi di opere e altri materiali protetti di loro scelta. I titolari dei diritti hanno il diritto di revocare l’affidamento dell’attività di intermediazione da loro concesso in tutto o in parte, per i territori di loro scelta…Tale diritto non può essere subordinato ad alcuna condizione…”.
È evidente che, una relazione diretta tra i distributori/utilizzatori e gli autori ed editori, agevolerebbe la gratuita circolazione delle opere per scopi non commerciali, indipendentemente dall’iscrizione ad un organismo di gestione dei diritti.
L’articolo 22 invece comincia ad occuparsi del rapporto tra le collecting society, gli utilizzatori delle licenze e titolari dei diritti, stabilendo che “…le tariffe relative a diritti esclusivi e ai diritti al compenso devono garantire ai titolari dei diritti un’adeguata remunerazione ed essere ragionevoli e proporzionate in rapporto, tra l’altro, al valore economico dell’utilizzo dei diritti negoziati, tenendo conto della natura e della portata dell’uso delle opere e di altri materiali protetti, nonché del valore economico del servizio fornito dall’organismo di gestione collettiva. Quest’ultima informa gli utilizzatori interessati in merito ai criteri utilizzati per stabilire tali tariffe…”.
Questo articolo pone, evidentemente il tema dell’equo compenso che vedremo meglio più avanti.
L’art. 45 prevede l’ipotesi di riduzione ed esenzioni rispetto alla riscossione dei diritti: “…agli organizzatori di spettacoli dal vivo allestiti in luoghi con capienza massima di 100 partecipanti, ovvero con rappresentazione di opere di giovani esordienti al di sotto dei 35 anni, titolari dell’intera quota dei relativi diritti d’autore, sono riconosciute forme di esenzione o di riduzione della corresponsione dei diritti d’autore” è inoltre previsto che“con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo siano definiti i criteri e le modalità delle forme di esenzione o di riduzione…prevedendo adeguati meccanismi di controllo anche attraverso forme di responsabilizzazione degli organizzatori, che assicurino il rispetto delle condizioni che legittimano la riduzione o l’esenzione. Con il decreto di cui al presente comma possono essere altresì individuati ulteriori eventi o ricorrenze particolari che permettono l’applicazione di forme di esenzione o di riduzione della corresponsione dei diritti d’autore. Il decreto di cui al presente comma prevede misure atte a garantire che, nelle fattispecie previste, la Società italiana degli autori ed editori, in coerenza con le risultanze di bilancio, remunera in forma compensativa i titolari dei diritti d’autore…”.
Il 26 marzo 2019, è stata approvata dal Parlamento Europeo la direttiva che disciplina il diritto d’autore nel mercato unico digitale. I due articoli che hanno riscosso più scalpore nel dibattito pubblico sono gli artt. 11 e 13 che, nell’approvazione del testo della direttiva da parte del Parlamento, sono diventati gli articoli 15 e 17, contenuti nel Titolo IV, relativo alle misure miranti a garantire il buon funzionamento del mercato per il diritto d’autore. L’art. 15[2] si riferisce alla protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo online prevedendo fondamentalmente che si debba pagare un compenso agli editori detentori dei diritti d’autore, nel caso di utilizzazione di piccole parti di articoli. Principio non proprio in linea con quella che è la storia del diritto d’autore, dal momento che, “già la Convenzione di Berna del 1886 prevedeva, nel bilanciamento tra diritto all’informazione e diritto all’esclusiva del diritto d’autore, che dovesse prevalere il diritto all’informazione e che quindi gli articoli giornalistici dovessero poter essere utilizzati liberamente”.
La questione, tuttavia, riguarda l’efficacia di questa norma. Una legge molto simile, infatti, è stata promulgata in Spagna qualche anno fa, con la conseguenza che Google News ha interrotto il servizio, che peraltro risultava poco remunerativo per Google stessa, ma soprattutto è accaduto, in una seconda fase di applicazione della normativa, che l’aggregazione dei contenuti non è avvenuta più da siti giornalistici spagnoli, ma da siti giornalistici di paesi terzi a cui, peraltro, non si applicherà neanche questa direttiva; ciò potrebbero comportare un abbassamento qualitativo del livello dell’informazione, determinando un crollo nella circolazione delle informazioni da parte delle testate giornalistiche e delle fonti nazionali.
L’articolo 17[3], invece, disciplina gli utilizzi di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online, prevedendo che questi siano obbligati a corrispondere i diritti ai legittimi detentori, stabilendo accordi con gli organismi di gestione collettiva. Questo articolo, propone un altro problema e un’altra domanda: è giusto, per esempio, che YouTube (o Google, Facebook, ecc.) paghino per l’utilizzo dei contenuti protetti dal diritto d’autore? Certamente è giusto che chiunque utilizza dei contenuti protetti per uso commerciale paghi il diritto d’autore (soprattutto se questo diritto ha la funzione di remunerare il lavoro artistico e non il mero scopo di accumulazione di capitali), ad avviso di chi scrive. Ma l’applicazione della direttiva impone l’adozione di una serie di strumenti tecnologici altamente sofisticati, ai fini del filtraggio e del controllo dei passaggi delle opere diffuse, e dunque ai fini della corretta corresponsione dei diritti (aldilà della necessità di negoziare degli accordi di licenza con gli editori) attraverso fondi che le grandi piattaforme certamente possono permettersi, ma che altri operatori indipendenti possono avere difficoltà a reperire. Altro problema è quello del potere contrattuale di piccole o medie realtà che dovrebbero riuscire a stabilire “accordi di licenzia” con soggetti come YouTube, Google, Facebook, ecc..
Quanti di questi soggetti possono entrare nel mercato?
La direttiva stabilisce che le disposizioni non si applichino per i primi tre anni di vita di una società, né laddove il fatturato sia inferiore ai 10 milioni di euro.
Chi investirà in un mercato sapendo che nei successivi tre anni sarà obbligato a investire in supporti tecnici costosissimi ai fini del rispetto della direttiva vigente?
Il rischio e che sul mercato resistano solo i grandi colossi, come Google, e che certo questa norma li obbligherà a pagare i diritti d’autore, anche dei contenuti che gli utenti pubblicheranno, ma dall’altra parte si rischia di lasciare Google, come unico operatore monopolista, così trasformandolo in un editore e conferendogli il potere di scegliere per noi, l’informazione da distribuire e quella da censurare.
Gli ultimi due articoli che sono degni di nota, in questa sede, sono quelli che disciplinano, il c.d. “equo compenso”, l’art. 18, il quale prevede che gli autori e gli artisti interpreti o esecutori, se concedono in licenza o trasferiscono i loro diritti esclusivi per lo sfruttamento delle loro opere o altri materiali, abbiano il diritto di ricevere una remunerazione adeguata e proporzionata, e l’art. 20 che prevede un meccanismo di adeguamento contrattuale, stabilendo che: “gli Stati membri garantiscono che, in mancanza di un accordo di contrattazione collettiva applicabile che preveda un meccanismo comparabile a quello stabilito nel presente articolo, gli autori e gli artisti (interpreti o esecutori) o i loro rappresentanti abbiano diritto il diritto di rivendicare una remunerazione ulteriore adeguata ed equa dalla parte con cui hanno stipulato un contratto per lo sfruttamento dei diritti …se la remunerazione inizialmente concordata si rivela proporzionalmente bassa rispetto a tutti i proventi originati in un secondo tempo dallo sfruttamento delle loro opere o esecuzioni”.
Fatte queste precisazioni, va detto che l’unico altro tipo di licenza disponibile oltre al copyright è il copyleft, sono le ben note licenze Creative Commons, nate dal percorso del free software e dagli hacker degli anni 80 e 90, che non rivendicano il pagamento dei diritti su qualunque uso si faccia dell’opera (qui, dunque, non parliamo del all rights reserved ma del some rights reserved), liberalizzando l’uso non commerciale delle opere, quell’uso, quindi, da cui non si trae un vantaggio economico, uso praticato dalle web radio indipendenti, come più su le abbiamo definite. Va precisato che, anche le licenze in copyleft sono contrattualmente cedibili, nel senso che sebbene la tutela delle licenze copyleft si estenda esclusivamente agli usi commerciali delle opere, anche le licenze in copyleft sugli usi commerciali delle opere protette potranno essere cedute dagli autori agli editori.
E allora, una delle possibilità di azione a tutela degli autori e di coloro che si occupano della circolazione della cultura, potrebbe essere il divieto di cessione del diritto d’autore, che ne resterebbe in possesso, stabilendo accordi economici con gli editori sugli introiti derivati dai singoli prodotti venduti.
In tal modo il diritto resterebbe di proprietà dell’autore dell’opera, al di fuori del meccanismo di spoliazione dell’autore del diritto di proprietà sull’opera che crea.
È opportuno quindi precisare come l’arte e il capitalismo siano fenomeni incompatibili, un pò come “mettere l’olio bollente nell’acqua fredda”: se da un lato è giusto che l’artista, l’autore/autrice viva del proprio lavoro artistico autoriale, dall’altro questa cosa è incompatibile con l’accumulazione di capitale perché l’arte e la cultura sono cose che appartengono a tutte/i e nei confronti delle quali tutte le persone hanno diritto di accesso. Presupposto che, infatti, legittima l’esistenza (sebbene sempre più limitata) del pubblico dominio. La costruzione di un sistema cooperativo e non competitivo in questo ambito, è un’altra azione su cui varrà la pena ragionare collettivamente. Altro elemento da mettere a tema è proprio l’efficacia e l’efficienza dello stesso sistema di distribuzione delle opere basate sul copyright, focalizzando l’attenzione sul fatto che non c’è nessuno oggi al mondo che non abbia mai visto un film in streaming su siti pirata, che non abbia scaricato un brano musicale in MP3 senza pagarlo, che non abbiamo un programma crackato sul computer. Non si può non prendere, allora, atto che il copyright non è efficace perché non è controllabile sul web, in particolare.
Come Raggiungere l’obbiettivo dell’indipendenza?
Una opzione, verso l’obiettivo dell’indipendenza, potrebbe consistere nell’autoproduzione, ad opera di una rete di artisti/e, lavoratori e lavoratrici della cultura – insieme a distributori quali le radio web, e ai luoghi che per vocazione e per pratica continuamente si occupano della produzione artistica e culturale anche degli spettacoli dal vivo – di una piattaforma di distribuzione, capace di consentire decisioni autonome in ordine alla circolazione delle opere, e alla scrittura di regole trasparenti e condivise di funzionamento stesso della circolazione del prodotto artistico/culturale, posseduta e gestita direttamente dalla rete come comunità di autori, editori, distributori e produttori in cooperazione, dando vita ad un modello di produzione davvero sostenibile.
A partire da tali mutamenti e dal complesso, e per nulla esaustivo, quadro sin qui delineato, sarà opportuno ragionare sulle strategie necessarie per affrontare e avviare processi pro attivi, caratterizzati dalla disintermediazione delle relazioni di produzione, che vedono le attrici e gli attori del mercato creativo, autori/autrici, editori, distributori, produttori in confronto diretto e immediato, anche grazie alla moltiplicazione delle forme di comunicazione e connessione che lo sviluppo tecnologico ci offre.
Dalla capacità di questi soggetti di fare networking dipenderà la possibilità di continuare a produrre e fruire liberamente dell’arte e della cultura, e di accedere ad un’informazione realmente indipendente.
Tra le fonti di questo articolo:
https://radiosonar.net/la-direttiva-europea-sul-copyright/
https://radiosonar.net/musica-mercato-indipendente-ctrl-incontra-radiosonar/
http://effimera.org/industria-culturale-mercato-musicale-corrado-gemini-margherita-dandrea/
https://operavivamagazine.org/opere-dellintelletto-in-produzione/
Le tematiche discusse nell’articolo saranno al centro del workshop del Festival Dinamica, “Radio: produzione e distribuzione. Copyleft e Copyright” sabato 18 maggio al Nuovo Cinema Palazzo, dalle ore 15.00 alle ore 17.00.
[1] Sull’intervento lobbistico della Disney nella disciplina statunitense del diritto d’autore a protezione perpetua di Mickey Mouse, si legga questa interessante ricostruzione di A. Fiamma, Perché Topolino sarà per sempre protetto da copyright, https://www.fumettologica.it/2016/05/topolino-copyright/?amp
[2] Uno stralcio dell’art. 15, della direttiva approvata il 26 marzo 2019 dal Parlamento Europeo: “gli Stati membri riconoscono agli editori di giornali stabiliti in uno Stato membro – il diritto alla corresponsione del diritto d’autore – per l’utilizzo online delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione. I diritti di cui al primo comma non si applicano agli utilizzi privati o non commerciali delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di singoli utilizzatori. La protezione accordata a norma del primo comma non si applica ai collegamenti ipertestuali. I diritti di cui al primo comma non si applicano all’utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi di pubblicazioni di carattere giornalistico…I diritti di cui al paragrafo uno si estinguono due anni dopo la pubblicazione della pubblicazione di carattere giornalistico. Tale termine è calcolato a decorre dal 1 gennaio dell’anno successivo alla data di pubblicazione di tale pubblicazione di carattere giornalistico. Il paragrafo uno non si applica alle pubblicazioni di carattere giornalistico pubblicate per la prima volta, prima della data di entrata in vigore della presente direttiva. Gli Stati membri provvedono affinché gli autori delle opere inclusi in una pubblicazione di carattere giornalistico ricevano una quota adeguata dei proventi percepiti dagli editori per l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società di informazione”.
[3] Uno stralcio dell’art. 17, della direttiva approvata il 26 marzo 2019 dal Parlamento Europeo “gli Stati membri dispongono che il prestatore di servizi di condivisione di contenuti online effettua un atto di comunicazione al pubblico o un atto di messa a disposizione del pubblico ai fini della presente direttiva quando concede l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dei suoi utenti. Un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online deve pertanto ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti d’autore ad esempio mediante la conclusione di un accordo di licenza al fine di comunicare al pubblico o rendere disponibili al pubblico opere o altri materiali. Gli Stati membri dispongono che qualora un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online ottenga un’autorizzazione ad esempio mediante un accordo di licenza tale autorizzazione includa anche gli atti compiuti dagli utenti di servizi che rientrano nell’ambito di applicazione e della direttiva del 2001 che disciplina il diritto europeo e il diritto d’autore qualora non agiscono su base commerciale o qualora la loro attività non generi ricavi significativi…Qualora non sia concessa alcuna autorizzazione, i prestatori di servizi di condivisione di contenuti on line sono responsabili per atti non autorizzati di comunicazione al pubblico compresa la messa disposizione del pubblico di opere e altri materiali protetti dal diritto d’autore a meno che non dimostrino di: aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un’autorizzazione e aver compiuto secondo elevati standard di diligenza professionale di settore i massimi sforzi per assicurare che non siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti necessarie ai titolari dei diritti e in ogni caso aver agito tempestivamente dopo aver ricevuto La segnalazione sufficientemente motivata dai titolari dei diritti per disabilitare l’accesso o rimuovere dei loro siti web le opere o altri materiali oggetto di segnalazione di aver compiuto i massimi sforzi per impedire il caricamento in futuro… Gli Stati membri dispongono che, con riferimento ai nuovi prestatori di servizi di condivisione di contenuti online i cui servizi sono disponibili al pubblico nell’Unione da meno di tre anni e che hanno un fatturato annuo inferiore a 10 milioni di euro, le condizioni in virtù del regime di responsabilità … siano limitate alla circostanza di aver agito tempestivamente in seguito alla ricezione di una segnalazione sufficientemente motivata per stabilire l’accesso alle opere o altri materiali notificati o rimuovere le loro siti web radio tali opere o altri materiali…”