LO SPONZ FEST DI VINICIO CAPOSSELA E IL RITORNO ALL’ESSENZA

Radiosonar ha intervistato i Friestk, band di giovani musicisti irpini che ha aperto il festival e ha raccontato ai nostri microfoni cosa significa vivere la terra dell’osso, attraverso la propria musica.

Calitri. Alta Irpinia. Da 10 anni un piccolo comune di 4000 abitanti vive ogni estate una settimana particolare: da tutta Italia giungono migliaia di persone per partecipare allo Sponz Fest, una serie di eventi che, con la direzione artistica di Vinicio Capossela, animano vari luoghi del paese con arte, laboratori artigianali, dibattiti, eventi teatrali e musicali.

Il tema di quest’anno è tanto “terreno” quanto simbolico. Le terre dell’osso, i territori interni che non godono di sbocco sul mare, che spesso non hanno grandi centri abitati, dimenticati dagli autoctoni che scelgono di spostarsi altrove e sfruttati da chi costruisce o crea business senza cura, né valorizzazione.

Una terra in cui ancora echeggiano i fantasmi di un terremoto che, anche laddove non abbia lasciato segni visibili sugli edifici, ha sicuramente scalfito cicatrici nei ricordi, nella storia e nell’identità di luoghi che faticano a far sentire la propria voce, strozzata tra l’oro dei campi di grano sovrastati dal movimento lento e ipnotico delle distese di pale eoliche.

Ed ecco che l’Irpinia si eleva ad allegoria di tutti i territori vuoti, privi di abitanti e privi di attenzione; e dei vuoti dell’anima, morali e emotivi, scavati da una società sempre più votata all’individualismo; i vuoti della pandemia, la perdita degli affetti, del lavoro, delle attività quotidiane, delle abitudini, dell’interazione e del senso di comunità.

Vinicio Capossela questi vuoti prova a reinterpretarli. Il vuoto diventa uno spazio e quindi un’opportunità. La possibilità di lasciarsi ispirare e di creare, la spinta a ricercare, attingendo dalle radici nuove modalità e nuovi frutti. Tutto parte dallo Sponz che è un seme piantato, affinché si insinui la volontà di ritrovare un nuovo senso allo stare insieme, una nuova idea di bellezza, di umanità e di condivisione.

Radiosonar ha intervistato i Friestk, band di giovani musicisti irpini che ha aperto il festival e ha raccontato ai nostri microfoni cosa significa vivere la terra dell’osso, attraverso la propria musica.

-Vi lascio presentare da soli, non oso pronunciare il vostro nome per paura di sbagliare.

Noi siamo i Friestk che significa “indomiti, selvaggi, forastici”, nel dialetto campano sta ad identificare qualcosa di indomabile dal punto di vista dello spirito ed è ciò che contraddistingue le nostre personalità e la nostra musica.

-Perché la scelta del dialetto, anche nei vostri testi.

E’ importante perché il dialetto è una lingua altra. Io non sono di Calitri, mentre gli altri due componenti sì (parla Alfredo, cantante, chitarrista e headliner della band). Il mio è il dialetto dei Monti Lattari, quindi molto più vicino al dialetto napoletano e poi ho appreso un po’ di terminologia locale, arrivando a una commistione che ci ha fatto porre l’accento sulla musicalità e sul suono della parola, oltre al discorso del senso mediato: ci piace che i significati non siano diretti; non abbiamo mai pensato all’italiano ma ci siamo subito concentrati su questa commistione.

Che è diventata anche un vostro tratto identitario, raccogliendo e portando nella vostra musica le vostre provenienze e le vostre caratteristiche anche personali. Il discorso della lingua come suono è molto evidente all’ascolto, la musicalità della parola crea armonicamente un unicum con gli strumenti di grande impatto.

-Voi avete vissuto tutte le edizioni dello Sponz Fest in varie vesti, come lo descrivereste? Avete qualche aneddoto da raccontare? Una visione dall’interno…

Innanzitutto noi lo abbiamo vissuto sin dalla prima edizione e non ci conoscevamo nemmeno. E’ stata una passione che è iniziata dai gruppi privati, dalle abitazioni, quando il festival si svolgeva anche nel centro storico e si può dire quindi che sia cominciata affacciandosi alle finestre dei vicoli; in quel contesto poi ci siamo conosciuti e i nostri interessi e le nostre passioni si sono incontrati. C’è stata l’unione di una sfera più tecnica degli altri componenti che studiano musica e suono e una parte più emotiva, la mia (risponde ancora Alfredo), oltre ad esserci trovati sul discorso del valore ritmico e percussivo del linguaggio che poi è maturato nel tempo. Noi siamo nati ufficialmente nel 2018 per partecipare all’edizione dello Sponz di quell’anno- Salvagg’- dopo essere stati contattati da chi ci aveva sentiti suonare in giro; l’anno prima avevamo già calcato il palco in maniera galeotta e Vinicio era stato contentissimo del set con strumenti particolari, con le pietre e avevamo tirato fuori quest’anima un po’ “furestica” come si dice a Napoli e da lì il percorso ci ha portato fino a questa edizione dove Vinicio ci ha voluto e ha apprezzato molto questo discorso sul valore sonoro della parola. Abbiamo posto particolare attenzione alla selezione dei brani e in particolare ne abbiamo eseguiti alcuni di Matteo Salvatore, un cantore di Apricena che è stato una sorta di Bob Dylan dei poveri per le tematiche affrontate. Poiché noi amiamo una modalità di vicinanza alla natura che è quasi totale, quella tematica l’abbiamo fatta nostra dal punto di vista dei testi e noi poi l’abbiamo personalizzata dal punto di vista del suono e quindi da poco è uscito il nostro EP dal titolo “FAME” in cui c’è stato anche tutto uno studio di produzione dietro anche dal punto di vista degli oggetti, della comunicazione visiva: la scelta di semi e colori abbinati emotivamente ai vari brani contenuti nell’EP. Quindi per noi lo Sponz è stato un vero e proprio trampolino di lancio.

 

-Mi piacerebbe conoscere un po’ le vostre singole storie e in che modo i vostri percorsi e le vostre personalità contribuiscono a creare la musica dei Friestk. Al di là del progetto musicale in sé, quali sono i messaggi di tipo sociale o etico che volete trasmettere, anche attraverso determinate scelte come la vicinanza alla natura, il legame con i luoghi e la scelta stessa del dialetto, anche rispetto alla tematica del festival, la riscoperta e la valorizzazione delle terre dell’osso.

Noi siamo fortementi legati al paesaggio, poiché riteniamo che dia quel respiro che la compressione e la massificazione della città fa perdere alle persone; vediamo come valore aggiunto il fatto di saperci orientare qui intorno, questi posti li vediamo anche in inverno, con poche persone, quando c’è la neve, conosciamo il territorio ed è difficile pensare la nostra musica senza questo contesto. Sul nostro instagram c’è scritto che siamo “un ensemble non destinato al consumo di massa” perché abbiamo sempre immaginato il nostro essere “Friestk” come qualcosa che dovesse dispiegarsi nell’aria, all’aperto. Per noi la musica è chitarra in spalla, camminare e vedere il set che incontriamo e questo ci dà modo di strutturare il suono anche rispetto a ciò che ci circonda, quindi è sicuramente qualcosa che viene dal paesaggio e anche dal vivere i luoghi e le persone con le storie che raccontiamo nei nostri brani. Oggi, comunemente, siamo abituati a sentire testi di musica pop che parlano di whatsapp; noi l’altra sera al festival abbiamo parlato di zappe e contadini, perché vediamo quella parte della vita, l’osso, che non riusciamo ad abbandonare, anche perché legata a un ciclo di eventi quotidiani che stanca ma lascia sereni, rispetto alla compressione che c’è fuori da questi luoghi che invece ci danno spazio e ampiezza. Ecco perché la musica ha questo tipo di radici che ci ancorano a questo tipo di visione.

Per quanto riguarda la formazione Alfredo Cesarano suona la chitarra e canta, Niko di Muro, studioso di sound design si occupa insieme a Vito Galgano esperto di tecniche di registrazione, chitarre e banjo degli arrangiamenti e della creazione del suono. Il risultato è come quello di un’immagine che colpisce nella sua interezza alla cui creazione contribuiscono i singoli elementi.

-Nelle città siamo spesso sovraccarichi, tanto da perderci nel mare di stimoli che riceviamo continuamente; territori come questo sono appunto sostenuti “dall’osso”, dall’essenza, dallo scheletro che tiene su una persona, un luogo, un progetto, un’idea. Questi territori ricchi di storia, arte, tradizioni e bellezze naturali rischiano spesso di essere dimenticati. Può un evento come lo Sponz aiutare a ricordarli e valorizzarli e la vostra musica, così legata al territorio, ha anche questo come scopo?

Continuare ad abituare questi luoghi, con certi ritmi e coltivando un certo tipi di rapporti umani è una forma di resistenza.

Un evento come questo aiuta chi ha un certo sostrato di sensibilità ad aprire un canale di comunicazione con il paesaggio, le persone, i luoghi.

La nostra musica anche fa questo; restare invece che andare dove esistono già più stimoli e vivere il territorio in forme nuove, mantenendo un contatto con l’esterno ed essere aperti a tutto, sia musicalmente che nel modo di vivere.

Il momento più emozionante

La rappresentazione della performance “Trenodia” di Vinicio e Mariangela Capossela, ideata in occasione di Matera- capitale europea della cultura 2019 che riproduce l’antichissima pratica della trenodìa (pianto rituale) comune nel Sud Italia sino a pochi anni fa e dedicata non solo alla morte, ma a diverse crisi sociali e che aveva funzione riparatrice e rigeneratrice della comunità. I fratelli Capossela ne hanno proposto un’attualizzazione allargandola al concetto più vasto di morte culturale, sociale e morale con un effetto catartico estremamente emozionante.

 

Il live più coinvolgente

L’elettroinca di Iosonouncane ha caratterizzato la prima serata, la sperimentazione di Matt Elliott e Daniel Blumberg la seconda, la maestria di Marc Ribot e il rock n roll dai sapori western e psichedelici di Dome de La Muerte la terza; ma l’ultima serata il live di Vinicio Capossela in superband accompagnato da musicisti straordinari e strumenti incredibili ci ha riempito le orecchie, gli occhi e il cuore per quasi 4 ore con una gran sorpresa finale.

L’esperienza che ricorderò

Le signore del museo delle arti e dei mestieri popolari che provano invano ad insegnarmi a lavorare all’uncinetto e una lezione davvero interessante di storia della musica del grandissimo Alessandro Portelli sugli Stati Uniti dei canti di protesta.

 

Un ringraziamento speciale agli autori delle foto:

Fotografi: Simone Cecchetti

Francesca Chiacchio

A cura di Silvia per Radiosonar.net

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