colapesceisoladifuoco

Presentava così “uno spettacolo visivo” il cantante siciliano Lorenzo Urciullo in arte Colapesce e ieri al Monk, che ha ospitato la sua nuova idea, scritta e dedicata appositamente per il RomaEuropaFestival, ho visto proprio questo.

Schermo al centro della scena che fa sentire la sua presenza, artisti di lato a guardare le immagini per sonorizzarle o accompagnarle con dei brani arrangiati ad hoc, proiezioni che mostrano i documentari di Vittorio De Seta, maestro del genere e autore del film girato a Stromboli “Isola di Fuoco” che dà il titolo e ha ispirato Colapesce.

Ma non solo questo, anche altri doc che spaziano dalla vita dei pescatori e del popolo del mare di Sicilia nei giorni di festa, alle giornate di lavoro in mezzo all’acqua salata nell’attesa di avvistare un pescespada o impegnati nella pesca del tonno musicate con enfasi e trasporto aiutato da macchine elettroniche,loop,chitarra elettrica e la sua voce che canta dolce amaro proprio come il sapore del mare che, insieme alla lava, è l’elemento portante dei video.
Un vero e proprio volo sopra paesaggi e storie come un airone ma, con la cuffia in testa con la musica che detta momenti coincitati, supportati egregiamente dai due strumentisti con tappeti musicali alternati a suoni severi e a tratti micidiali per scandire immagini di altri tempi.

Il cantante siciliano, Mario Conte alle tastiere che insieme a Federico Frascherelli hanno ideato in trittico lo spettacolo visivo, hanno reso bene l’idea che il protagonista è il documentario in questo spettacolo tant’è che hanno rivolto lo sguardo verso il pubblico solo al terzo momento ,possiamo dire ,e la dovuta reverenza al trasmesso via schermo è stata avvertita riuscendo in una performance evocativa ed emozionante con gioia, rabbia e stupore riversata con note e parole per una prima internazionale davvero coinvolgente.

Nel bis non previsto esce da solo Colapesce che con la sua chitarra e la mimica da picciotto regala al pubblico , che partecipa finalmente e richiede, i suoi pezzi come “Restiamo in casa” “Sottocoperta” ma sopratutto “Satellite” che tutti apprezzano e cantano anche se non in modo convincente. Il Monk ha retto, i paganti un po freddini, Colapesce porta sul palco una storia della sua terra natia come solo lui sa fare con parole e suoni d’amore assoluto e alla fine ci regala anche una passeggiata in mezzo al pubblico con la chitarra acustica.

È poesia.

Parco Indipendente – RadioSonar.net