Amadeus e soci ringiovaniscono il Festival ma alla fine è il Festival che invecchia i giovani

Al quarto anno di un percorso che ha visto abbassare di parecchio l’età media dei partecipanti e che, come è normale che sia nel 2023, guarda agli streaming e alle visualizzazioni, gli artisti sono sembrati più intenzionati ad adeguarsi alla tradizione sanremese che a proporre la loro visione della musica. Intendiamoci, non che nel roster ci fossero chissà quali sperimentatori di suoni ma questo è il Festival di Sanremo e chi si aspetta emuli degli Einsturzende Neubaten ha sbagliato canale. Anche se in un futuro parallelo magari ci si arriverà. Ma a prescindere dalle aspettative e dalle critiche preventive di chi paventa master in musicologia, è innegabile che l’edizione di quest’anno sia stata all’insegna delle melodie, delle sonorità classiche del pop italiano e dei testi d’amore. Ci sono delle eccezioni e per fortuna c’è chi quella classicità la sa proporre con raffinatezza ed originalità.

Ma in linea di massima, mi è venuto in mente Mick Hucknall dei Simply Red quando in una vecchia intervista disse che nella musica italiana si dà troppa importanza ai testi e poca alla musica.

Che sarebbe anche comprensibile per gli artisti di generazioni passate, diventa invece una questione particolare se il fenomeno colpisce anche i ventenni. E soprattutto, sarebbe accettabile se tra quei testi ci fosse qualche segnale di protesta sociale, dati i tempi che viviamo e l’attuale governo al comando. Quel governo che ha probabilmente imposto che venisse inserito uno spazio da dedicare alle vittime delle Foibe e che ha fatto aprire l’ultima serata dall’inno nazionale suonato dalla banda dell’Aeronautica, con tanto di filippica pro-Forze Armate da parte del comandante.

Invece si parla esclusivamente o quasi di pene amorose. E va così.

Ora, canzone per canzone, parliamo di tutti gli artisti. E lo faremo concentrandoci sulla musica, provando a cancellare dalla mente siparietti vari, pregiudizi o tutto ciò di collaterale che anche quest’anno ha portato il Festival a terminare ogni serata ad orari improbabili per chi al mattino ha la sveglia per motivi di lavoro o di studio.

Marco Mengoni – Due Vite

Mengoni è uno di quelli che quando lo senti cantare, non puoi dire altro se non che è bravo. Ed in effetti la sua voce è impeccabile ed a tratti impressionante per il modo di gestire cambi di tonalità e di tempo. Vince con un brano d’impatto, che mette in mostra le sue qualità e che otterrà la solita abbondante rotation nelle radio ma che sembra un passo indietro nell’ambito di una discografia che ultimamente lo aveva visto avventurarsi in qualche territorio più moderno tra urban e pop sofisticato.

Lazza – Cenere

Lazza normalmente fa trap e rappa in qualche occasione. Due cose che fa molto bene e che lo hanno portato al successo. Poi arriva a Sanremo e porta un pezzo cantato con tanto di ritornello. Si poteva essere delusi ma Lazza non stona, ed il pezzo è una bomba principalmente grazie ad una produzione maestosa di Dardust che è indiscutibilmente un maestro delle strumentali contemporanee. Groove incredibile che oscilla tra pop elettronico e house con tocchi di soul psichedelico. Bravo Lazza ma insomma, Dardust di più.

Mr. Rain – Supereroi

Che Rain avesse una bella penna, era noto a chi frequenta certi ambienti musicali. Che fosse in grado di scrivere una canzone perfetta per il Festival, forse meno. Supereroi è una ballad semplice con un bel testo che parla di come trovare la forza per affrontare i periodi più bui, con tanto di coro cantato da bambini. Insomma, impossibile non commuoversi. Infatti arriva terzo e in fondo non è una sorpresa.

Ultimo – Alba

Ultimo fa Ultimo e non si snatura quindi per lui entrare nel clima di restaurazione è normale. Il problema è che se tutti quelli che di solito fanno altro, si mettono a giocare al tuo sport e fanno meglio di te, forse non sei il numero uno come sembri voler credere di essere. Ma poi il pubblico lo vota, le ragazzine lo acclamano, gli stadi si riempiono e pure se la canzone rientra in uno standard di cui si farebbe a meno, alla fine ha ragione lui.

Tananai – Tango

Tutti si aspettavano il burlone caciarone e stonato dello scorso anno, invece Tananai stupisce presentandosi elegante e serioso con un pezzo lento interpretato benissimo. Ecco, lui è uno di quei rari casi in cui ogni territorio sonoro toccato si permea del suo stile e non il contrario. Scrive testo e musica, molto meno semplici di ciò che il primo ascolto dimostrerebbe, e si avvia verso un’ulteriore crescita artistica già abbondantemente intrapresa nell’ultimo anno. Rivincita meritata.

Giorgia – Parole Dette Male

Sarò parziale ma io da anni mi aspetto che Giorgia stupisca con dei pezzi soul come si deve. La sua incredibile voce, ma anche la sua cultura musicale ed i suoi gusti, glielo permetterebbero, anzi, sarebbe una cosa naturale. Invece porta l’ennesimo pezzo pop, di qualità e con stile senza dubbio, ma quella lampadina continua a non accendersi. Peccato.

Madame – Il Bene Nel Male

Madame è indefinibile artisticamente. Viene dal rap ma rappa di rado, ha fatto pezzi trap, pezzi pop, pezzi elettronici, con interpretazioni sempre diverse. In questo caso si presenta con un brano dal crescendo incessante che sfocia in una sorta di dance anni 80, cavalcato dal suo modo unico di recitare un testo che ha il pregio di trasferire esattamente le emozioni provate a chi lo ascolta. Forse dovrà ancora crescere per trovare una collocazione precisa ma il suo talento è forte e chiaro.

Rosa Chemical – Made In Italy

Parliamoci chiaro, questo è l’unico pezzo che spicca dalla piattezza del Festival. Lasciamo perdere rossetti, smalti e lustrini, Rosa Chemical è un artista con idee e con stile. Sorretto da un beat potente del suo socio B Dope, Rosa si lancia nel ritmo con il suo testo libertino e sottilmente critico verso il bigottismo nazionale, riuscendo nell’impresa di farsi piacere dal pubblico. Numero uno.

Elodie – Due

Ho l’impressione che Elodie stia progredendo a livello artistico ed il fatto che sia tra gli autori del testo lo dimostra. Il brano è piacevole ed ha un buon ritornello, la sua interpretazione è come al solito di alto livello ed il suo modo di tenere il palco non è secondo a nessuno. Se riuscirà a trovare una dimensione ancora più personale, potrebbe diventare un’autrice raffinata e non solo una macchina da hit immediate.

Colapesce e Dimartino – Splash

Il pop fatto ad arte. Colapesce e Dimartino sono musicisti di alto livello e Splash lo dimostra ancora una volta, portando nel 2023 tracce battistiane e proto-disco mentre il testo trasmette con leggerezza ciò che leggero non è, disegnando immagini con le parole, cantate con toccante personalità. Livello altissimo.

Modà – Lasciami

I Modà sono uno dei baluardi della tradizione musicale italiana, quella che vuole le band rassicuranti ed innocue. Presentano un brano che sembra uscito dal 1984 perché questo è ciò che i Modà fanno ma se non altro dal testo trapela la sincera sofferenza patita dal leader Kekko per via di una forte depressione, della quale ha parlato a cuore aperto. Considerando il loro pubblico, non una cosa da poco.

Gianluca Grignani – Quando Ti Manca Il Fiato

Scherzare sui problemi vissuti da Grignani è diventata una pessima prassi, che manca di rispetto a chiunque viva gli stessi disagi e ad un artista che porta tutto se stesso su un palco evidentemente lontano alla sua indole. Non c’è nulla di punk o di particolarmente trasgressivo nella sua esibizione ma il brano è ben arrangiato e ben suonato, e soprattutto eseguito con quella tonnellata di cuore che volente o nolente, ti arriva.

Coma_Cose – L’Addio

Se è vero che le parole sono importanti, non c’è nessuno che le sappia usare come i Coma Cose. La coppia milanese si mette a nudo portando la loro vita sul palco e lo fa con tale intensità e classe che il fatto che musicalmente questo sia uno dei brani più “facili” del loro repertorio passa in secondo piano. Lovely.

Ariete – Mare di Guai

La capacità di far arrivare un certo disagio emotivo è una delle caratteristiche principali di alcuni protagonisti della nuova generazione canora. Ariete è una di quelle che ci riesce meglio e seppur ancora acerba, con questo brano incarna a pieno i sentimenti dei suoi coetanei, aiutata nella scrittura da Calcutta, che di tutto ciò è il vero e proprio guru. In questo caso la strumentale di Dardust perde un po’ di potenza nella versione orchestrale mentre è molto più efficace da studio.

Articolo 31 – Un Bel Viaggio

DJ Jad si riprende la fama lasciata per strada da anni dopo la separazione con J-Ax ma sa benissimo che per questo la sua presenza deve essere marginale. Infatti il pezzo presentato per questa reunion è in tutto e per tutto un pezzo tipico del J-Ax solista, quindi con appeal nazionalpopolare che strizza l’occhio al rap, al punk, al rock ma alla fine è pop di basso livello che lascia il tempo che trova.

Paola e Chiara – Furore

Il revival dell’era berlusconiana ha il suo apice col ritorno di Paola e Chiara, le quali non hanno mai propriamente aggiunto pagine memorabili alla storia della musica. Eppure nella piattezza della banalità melodica diffusa, il loro pezzo dance anni 90 sveglia dal torpore e si candida come inno dei prossimi Pride.

Mara Sattei – Duemila Minuti

Talentuosa, versatile e stilosa, Mara Sattei porta uno dei brani più difficili da interpretare perché il testo, scritto dal leader dei Maneskin Damiano David, ha tantissime parole in pochi spazi. Lei riesce a farlo al meglio ma arriva poco forse a causa di una scelta musicale un po’ ibrida, probabilmente per paura da parte di Thasup (producer nonché fratello) di avventurarsi troppo nei suoi territori poco sanremesi.

Cugini Di Campagna – Lettera 22

Se siamo nell’ambito di canzoni ben scritte e ben eseguite, dobbiamo solo toglierci il cappello di fronte a questo brano dei Cugini. Gli autori sono i Rappresentante di Lista, e di questi tempi c’è poco di meglio in ambito pop, e l’esecuzione canora va oltre il falsetto ed è di notevole livello. La sentiremo? Forse no. Ma che siano sembrati più giovani loro di molti ventenni è un problema.

Levante – Vivo

Anche Levante porta sul palco un momento complicato della sua vita e lo fa con la consueta energia. Il ritmo incessante ma semplice ed un ritornello non efficacissimo forse frenano il pezzo, che ha comunque il pregio di trasmettere quel senso di liberazione e sfogo passati dopo una crisi personale.

Anna Oxa – Sali

Non mancherei mai di rispetto ad un’artista importante come la Oxa e non lo farò ma francamente questo volersi elevare ad interprete sofisticata e lontana dalla massa non corrisponde alla complessità della sua musica. Anche penalizzata da esecuzioni non proprio perfette, porta un brano con un testo anche interessante ma con un’orchestrazione fintamente pomposa che sfocia solamente in un mare di noia.

Colla Zio – Non Mi Va

I Colla Zio sono gli unici giovani a cui dedico un trafiletto personale perché a mio avviso lo meritano. Etichettati come boy-band dai fantasiosi critici musicali pseudo-colti, in realtà la band milanese si presenta con un funk-pop divertente che esce dagli schemi sonnolenti e si mangia il palco nonostante la scarsa esperienza. Unica speranza per il futuro.

 

Purtroppo le altre nuovissime leve le ho trovate trascurabili a dir poco.

LDA E Leo Gassman anche bravi vocalmente parlando ma di estrema banalità e sostanzialmente vecchi nel senso peggiore del termine. Will, Olly e Sethu barcollano in quel territorio che fa l’occhiolino all’urban-pop ma senza i guizzi necessari per trovare  l’originalità necessaria per emergere. Infine Shari, che è un bel talento e saprà farsi valere, ma solo se darà spazio al suo animo soul/R&B piuttosto che affidarsi ad una canzone che si perde nel marasma uniformato di questo festival col freno a mano tirato.