Partiamo da uno scontato ma necessario presupposto: chi cerca rivoluzioni culturali al Festival di Sanremo ha sbagliato indirizzo.

Giusto o sbagliato che sia, la kermesse sanremese prima di essere un concorso musicale è un programma televisivo

Partiamo da uno scontato ma necessario presupposto: chi cerca rivoluzioni culturali al Festival di Sanremo ha sbagliato indirizzo. Giusto o sbagliato che sia, la kermesse sanremese prima di essere un concorso musicale è un programma televisivo che va per cinque volte di fila in prima serata sulla prima rete nazionale e siparietti tra conduttori ed ospiti a parte, il prodotto finale deve essere per forza di cose mainstream e questo non può che imporre determinate scelte a livello di artisti partecipanti.

Non che da Amadeus o da tutti gli altri che lo hanno preceduto ci saremmo aspettati selezioni sovversive ma state sicuri che pure se il direttore artistico fosse un musicista di nicchia sarebbe costretto a rientrare entro determinati canoni.

Ed i canoni della musica italiana per il grande pubblico normalmente sono quelli che oscillano tra pop melodico e cantautorato non impegnato.

Certo, ci si potrebbe avventurare in un lungo discorso per cui i gusti del grande pubblico potrebbero essere riveduti e corretti con una dose di coraggio e un filo di attenzione alle varie scene cosiddette underground che da sempre trovano respiro tra centri sociali, piccoli locali e club indipendenti. Ma questa è la realtà della televisione pubblica italica e a questo punto sta all’ascoltatore/telespettatore saper scremare le cose interessanti da quelle banali, quando non imbarazzanti.

Nonostante tutto questo, nell’arco degli anni il palco dell’Ariston ci ha dato modo di ammirare tanti artisti che in qualche modo uscivano fuori dagli schemi.

La new wave di Garbo, lo ska degli Statuto, il jazz di Rossana Casale e Sergio Cammariere, le sperimentazioni avanguardistiche dei Quintorigo o ancor prima di Mario Castelnuovo. Spesso per arrivarci si era costretti a subire nenie fuori tempo massimo di personaggi la cui carriera sembrava legata con un filo rosso al Festival per poi svanire tutto il resto dell’anno. Ecco, forse la novità più piacevole di questa edizione (ancor più della precedente, dove questo trend sembrava comunque intrapreso) è il completo ringiovanimento dei partecipanti, che per la quasi totalità sono nel fulcro della loro attività e sono quanto mai contemporanei.

Non è un caso che le fasce più giovani si siano avvicinate al Festival ed abbiano probabilmente contribuito in maniera decisiva al risultato finale.

Senza pubblico e con la sola orchestra a riempire lo spazio sotto al palco, le performance degli artisti in gara sono state inevitabilmente il fulcro dello spettacolo. Anche perché i vari siparietti tra Amadeus, Fiorello, Ibrahimovic ed i diverso ospiti hanno suscitato più fastidio che altro, e per quanto faccia piacere vedere una Bertè in splendida forma canora, una Vanoni la cui classe sfida il tempo ed uno show personale di Elodie che la consacra definitivamente come uno dei personaggi più gradevoli di questa nuova generazione, lasciatemi dire che è poco comprensibile la scelta di far finire ogni puntata a notte inoltrata, costringendo di fatto tanti telespettatori a spegnere dopo aver sentito solo la metà scarsa delle canzoni.

Ma allora parliamone di queste canzoni. Comincerei dalle nuove proposte, relegate ai margini come sempre ma che vale la pena analizzare, almeno nei quattro finalisti:

GAUDIANO – Polvere Da Sparo

Il vincitore di categoria non sembra proprio l’identikit dell’originalità. Classico testo romantico cantato con una tonalità che ricorda molto quella di Tiziano Ferro, su una base veloce, a cassa dritta, di facile appeal. Tanto orecchiabile quanto dimenticabile.

DAVIDE SHORTY – Regina

L’artista siciliano trapiantato a Londra ha già avuto modo di dimostrare il suo talento con diversi progetti in cui mescolava rap e soul, ed è ben noto nel mondo dell’Hip-Hop italiano per svariate collaborazioni. Con Regina arriva secondo, e pur essendo un pezzo molto “sanremese” per i suoi standard, lo spirito soul esce fuori e avvolge l’ascoltatore con il suo sound caldo ed ha le potenzialità per crescere radiofonicamente con l’avvicinarsi della stagione calda.

FOLCAST – Scopriti


Anche Folcast non è nuovo al mondo della musica, e nell’arco della sua carriera sono già arrivati riconoscimenti importanti (Daniele Silvestri lo ha voluto ad aprire i suoi concerti). A livello di arrangiamento qui siamo ad alti livelli, archi, piano, sintetizzatori, viaggio tra soul ed elettronica che condiscono un pop moderno ed accattivante. Si sente che è un musicista a tutto tondo e questo è solo un bene per il futuro della nostra scena.

WRONGONYOU – Lezioni di Volo

Per chi non lo conosce, Wrongonyou, 31enne romano, è un artista che ha un background internazionale (suonava in un gruppo statunitense) e potrebbe fare letteralmente tutto. La sua musica non si può definire esattamente sperimentale ma senza dubbio il suo pop sa trovare sfumature molto personali. Lezioni di Volo è forse meno “spinta” di altre sue produzioni ma rimane un brano moderno di livello, arrangiato ed interpretato alla grandissima.

E ora, i “grandi”. Non mi piace salire su piedistalli e rispetto il lavoro di tutti ma per una questione di spazio, dedicherò ad alcuni brani uno spazio unico perché li ho trovati meno interessanti di quelli di cui parlerò singolarmente.

La Michielin (peccato perché saprebbe e potrebbe fare molto di meglio) sceglie Fedez per rendere ancor più inutile un pezzo blando che però ha un ritornello catchy che ci sorbiremo a lungo.

Ermal Meta is the new Toto Cutugno, ormai spunta ogni Sanremo per poi sparire ed è la vera eccezione alla regola.

Orietta Berti vabbè, fa quello che ha sempre fatto, serviva per fare colore ed è giusto così. La canzone non la sentiremo mai più.

Arisa, Noemi e Malika Ayane sembrano continuare a sprecare enormi qualità vocali con pezzi impersonali nel caso delle prime due e poco centrati nel caso della terza.

Fasma e Random dovrebbero rappresentare il mondo della trap di ultimissima generazione ma si perdono rispettivamente tra superficialità ed un tentativo incomprensibile di snaturarsi per avvicinare melodie apparentemente più consone al contesto.

Francesco Renga sembra avere perso completamente quella poca verve rimastagli ed ormai fa solo brani trascurabili.

Su Aiello e Gio Evan non saprei cosa dire se non cose poco edificanti quindi lascio il giudizio ai vostri ascolti, se proprio volete punire i vostri padiglioni auricolari.

A Bugo vorrei dedicare qualche riga in più perché il pezzo è tutt’altro che brutto sia a livello musicale che di testo, con una bella atmosfera nostalgica ma purtroppo l’artista lombardo è sembrato fuori luogo e fuori forma sul palco, come se ancora pagasse lo scotto della querelle-Morgan. Ma “E invece Si” è un brano che denota sensibilità e capacità di scrittura e merita di essere ascoltato nella sua versione studio.


Ed ora, vado più sul dettaglio

MANESKIN – Zitti e Buoni


Vincitori e proclamati dalla stampa generalista come i salvatori del rock, è ridondante dire che di rock i Maneskin hanno forse l’immagine e poco altro ma è innegabile che il quartetto romano accende ogni palco che calca.
Uno dei pochi casi di questo Festival in cui la performance dal vivo comunica di più del pezzo in se, un funk-rock leggero ma aggressivo, come nel loro stile, con un testo abbastanza liceale nella sua anima ribelle ma è apprezzabile che il tutto venga scritto e musicato da loro stessi.
L’ombra del plagio al pezzo “FDT” degli Anthony Laszlo incombe sulle loro teste ed è ahimè più di un sospetto. L’esecuzione di “Amandoti” dei CCCP insieme a Manuel Agnelli è stata di livello e merita un applauso.

COLAPESCE E DIMARTINO – Musica Leggerissima

Piccolo capolavoro quello del duo siciliano. Un pezzo che sa mettere insieme i classici ricami del pop con un testo per nulla banale ed un arrangiamento che strizza l’occhio alla disco dei primi 80 riportandoci alla mente l’Alan Sorrenti di Figli Delle Stelle o il Battisti di Ancora Tu. Arrangiamento sopraffino e grande delicatezza, il perfetto esempio di musica leggera fatta con classe ed intelligenza.

IRAMA – La Genesi Del Tuo Colore

Penalizzato non solo dalle performance mandate in onda durante le prove (causa isolamento forzato) ma anche da un brano assolutamente non adatto ad essere eseguito in modalità orchestra. Elettronica, effetti vocali, atmosfera cupa ed allo stesso tempo accesa da un cambio di velocità à la Chemical Brothers. Irama forse non è esattamente un fenomeno a cantare ma sto pezzo spacca.

WILLIE PEYOTE – Mai Dire Mai

Probabilmente Willie Peyote è una persona molto intelligente e colta, solo che lo posso dì? I testi che scrive sono fastidiosamente borghesi, e ricordano molto quei salotti “gauche caviar” che non possono e non devono appartenere al rap. Un condensato di bacchettonismo 2.0 reso ancor più indigesto da un ritornello paraculo. E permettetemi una nota personale, ma mi infastidisce non poco che il rap in prima serata sia questo. Meglio senza. Con tutto il rispetto.


ANNALISA – Dieci

In un Festival in cui è stato oggettivo il problema diffuso dell’intonazione, l’arrivo sul palco di Annalisa ha cambiato le regole del gioco. Il suo talento vocale è innegabile ma a differenza di tante altre virtuose colleghe, lei è estremamente naturale ed assolutamente moderna, tanto da rendere piacevole una canzone molto standard come “Dieci”. Un merito in più per essere anche autrice, cosa piuttosto rara per questa tipologia di artisti. E concedetemi una nota frivola, la sua classe si denota anche nell’aspetto estetico, impeccabile e mai volgare.

MADAME – Voce

Per molti la vincitrice morale del Festival, il suo talento è indiscusso e la sua personalità è strabordante, considerata anche la giovane età. Testo bellissimo e produzione trap paradigmatica di quel genio che è Dardust, un po’ come Irama perde nell’interpretazione orchestrale a causa della natura minimalista del brano. La versione studio restituisce in pieno all’ascoltatore la disperazione ed il disagio che l’artista di Creazzo tira fuori con anima e corpo. Complimenti.

LA RAPPRESENTANTE DI LISTA – Amare

Livello altissimo per questo gruppo che pian piano esce dalla nicchia rimanendo sempre fedele ad una musica di alta qualità priva di schemi e di definizioni. Tra prog ed elettronica, Amare ha la rara capacità di conquistare subito ma di crescere ad ogni ascolto. Una bomba, così come la loro interpretazione, tra le più bella della kermesse.

EXTRALISCIO E DAVIDE TOFFOLO – Bianca Luce Nera

Al di là dell’atmosfera sul palco che oscillava tra festa di paese e primo maggio, questo ensemble sa andare oltre le apparenze unendo all’esuberanza grande tecnica strumentistica ed infinita creatività. La tradizione del liscio romagnolo incontra il punk, la psichedelia e la sperimentazione per un brano che paradossalmente ha un testo delicato e di grande sensibilità.

LO STATO SOCIALE – Combat Pop

Caciaroni e a tratti forzatamente simpatici sul palco, alla fine Lo Stato Sociale tirano fuori un pezzo gradevole, zeppo di citazioni e possibilmente con meno potenzialità “tormentonesche” di Una Vita In Vacanza. Ritmo serrato, arrangiamento corale ben fatto, non è un capolavoro ma si fa ascoltare. Una nota di merito per la cover di Non E’ Per Sempre degli Afterhours, eseguita molto bene e con la partecipazione di Pannofino ed Emanuela Fanelli che insieme a loro hanno fatto una lista di vari locali storici chiusi causa lockdown.

FULMINACCI – Santa Marinella

Ci sono artisti a cui non servono molti fronzoli per dare emozioni e Fulminacci è uno di questi.

Il giovane cantautore romano ha una penna notevole e con doti canore niente male ci regala qualche brivido con Santa Marinella. Se Barbarossa avesse fatto indie sarebbe Fulminacci. Una delle cose più interessanti del Festival, compresa l’esecuzione di Penso Positivo con Roy Paci alla tromba ed un geniale Valerio Lundini a dissacrare il tutto.

MAX GAZZE’ – Il Farmacista

La critica più facile che si può fare a Max Gazzè è che le sue canzoni sembrano sempre molto simili e forse a primo acchitto questo può sembrare vero ma Il Farmacista è il classico pezzo che cresce pian piano e ad un ascolto più attento si può apprezzare la solita qualità dell’arrangiamento e del groove. Testo da studiare. Notevole la sua performance con Daniele Silvestri nella serata cover, in cui hanno dato un tocco psichedelico ed etereo a “Del Mondo” dei CSI

GAIA – Cuore Amaro

Francamente la canzone mi dice poco o nulla, Gaia ha una voce particolare e le atmosfere urban-spagnoleggianti sono leggere e moderne ma niente di più. Però ci tengo a sottolineare la presenza di Orange a dirigere l’orchestra, un momento importante per un musicista eccezionale che nasce con l’Hip-Hop. Come si dice a Roma, “so soddisfazioni”.

COMA COSE – Fiamme Negli Occhi

Sono arrivati al Festival forti di una grande convinzione, quella di essere veri e di continuare il loro percorso intrapreso ormai da qualche anno. E i Coma Cose sono stati tra i più convincenti, stilosi ed originali in questi cinque giorni. Come da loro stile, il pezzo è leggero ma mai banale, mai scontato, e non smetteresti mai di ascoltarlo. Forse un filo meno sperimentale del loro standard ma ci sta. Bravi.

GHEMON – Momento Perfetto

L’ultimo brano di cui parlo è forse il mio preferito a livello di groove. Ghemon sempre più vicino a Neffa nel sound ma con una personalità tutta sua, tira fuori una bomba tra il soul e l’R&B con pochi eguali in Italia. Nonostante un look discutibile e l’assenza di una band che avrebbe reso ancor più caldo il suono, sto pezzo ha una classe insuperabile e va assolutamente ascoltato a loop.

BONUS: ACHILLE LAURO

L’ospite fisso di tutte le serate è stato Achille Lauro e si merita qualche riga tutta per lui. Si se ne è parlato e scritto già tanto e sperticati elogi si sono alternati a dure critiche.

Io cercherò di essere obiettivo perché Lauro lo conosco dai tempi in cui rappava e si faceva chiamare Achille L (sembra una vita fa ma sono solo pochi anni).

Ok, non sarà il cantante da conservatorio, non sarà un musicista illuminato e forse nemmeno scrive ste canzoni indimenticabili. Ma le sue performance sono di alto livello, perché trascendono la musica e sfociano nella teatralità, messa in scena con maestria e quella giusta dose di sfacciataggine. I paragoni con David Bowie, Renato Zero o altri mi interessano zero.
Ad Achille Lauro non interessa essere il primo o essere il più bravo. Lui vuole esprimere se stesso in maniera artistica senza compromessi.

Certo che c’è l’occhio al brand, all’immagine, alla visibilità. Ma la sua arte buca lo schermo e quando i signori musicisti di cui si circonda prendono il largo (Boss Doms, Frenetik & Orange, Mamakass) il tutto decolla. Che piaccia o non piaccia, difficile ignorarlo. E la sua missione è quindi compiuta.

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