In questo momento storico, ha ancora senso il Festival di Sanremo?

Quella che dovrebbe essere la vetrina principale della musica popolare italiana, ha veramente un target di ascolto nel 2022?

Gli under 30 hanno le notifiche in tempo reale sulle uscite dei loro cantanti preferiti ed ascoltano tutto principalmente dai servizi di musica liquida, le generazioni legate ai vecchi fasti sanremesi sono ormai in esaurimento e la fascia centrale, quella dei cosiddetti “boomers” vive la manifestazione con indifferenza, se non con la spocchia di chi dice di ascoltare musica ben più alta di quella presentata all’Ariston.

Però gli indici d’ascolto smentiscono tutto questo, dato il successo di questa terza edizione targata Amadeus, che segue quello delle annate precedenti.

Dov’è il segreto? In realtà è molto semplice: al Festival di Sanremo ormai la musica ha un’importanza relativa, e si è trasformato in tutto e per tutto in un varietà dove conta il gossip, lo scandalo, il chiacchiericcio da social. Insomma, un evento mondano trainato da anni di tradizione, che in qualche modo, volente o nolente, riesce a monopolizzare l’attenzione del paese per una settimana.

Però qua ci interessa parlare di musica, anche perché la musica italiana si sta rinnovando, persino nella sua accezione più mainstream e nelle due edizioni precedenti Amadeus aveva fatto scelte che sembravano ragionare in questo senso, con l’apice di quella scorsa in cui il numero di concorrenti “atipici” era forse al suo numero massimo di sempre. Ecco, da questo punto di vista, stavolta sembra esser stato fatto un passo indietro. Per colpa della direzione artistica? A mio avviso solo in parte. Perché se si poteva avere più coraggio nella compilazione del cast artistico, comunque ad Amadeus non si può imputare di non aver guardato alle nuove generazioni.

Il problema è che i rappresentanti di queste nuove generazioni sembrano essersi improvvisamente involuti, avvicinandosi sempre di più a un suono “vecchio”, come a non voler far morire i fasti del classico standard sanremese in cui facili melodie e testi sdolcinati sono imprescindibili.

D’altronde, questo è il paese in cui i rappers a un certo punto non rappano più e si trasformano in cantanti pop (solo in questo Festival ce n’erano almeno 5, partiti dal rap e che ora fanno tutt’altro), in cui chi nasce sperimentale dopo un po’ diventa più radiofonico di un tormentone estivo, o infine chi aveva un suo stile si omologa velocemente alla massa. Che poi questa mutazione in nazional-popolare nemmeno ha molto senso a livello di vendite, basti vedere il successo recente degli album di Sick Luke (capace di viaggiare tra trap, rap ed indie senza compromettersi di una virgola) o di Noyz Narcos, che è rimasto il rapper hardcore di sempre. Per non parlare dell’exploit internazionale dei Maneskin, che non saranno i nuovi Led Zeppelin come qualcuno li vorrebbe dipingere ma di sicuro non suonano come la musica italiana a cui i vecchi Festival ci hanno abituato.

A proposito, i Maneskin. Vi ricordate cosa si diceva lo scorso anno dopo la loro vittoria?

“Il ritorno del rock, finalmente rivedremo le chitarre, la musica suonata, ecc. ecc.”

Ecco, di tutta risposta, in questa edizione è presente soltanto una band, per altro nemmeno di primissimo pelo (Le Vibrazioni) e per sentire un assolo di chitarra abbiamo dovuto aspettare di avere sul palco l’82enne Iva Zanicchi.
Forse qualcosa non è andato come previsto…

Analizzo ora singolarmente gli artisti in gara, anche se qualcuno verrà raggruppato in un solo insieme per diversi motivi.
Non parlo di tutto il corollario di cui sopra perché mi trova francamente indifferente, se non infastidito, come nel caso dei patetici siparietti pseudocomici.

Mahmood & Blanco – Brividi

Jackpot sicuro per questo duo che ha sbancato tutto il possibile, non a caso vincitori annunciati. Che Mahmood sappia scrivere canzoni ormai è assodato e la sua interpretazione, che piaccia o no, è inconfondibile. Blanco ha personalità e talento e l’alchimia tra i due funziona. Rimane l’impressione di voler essere andati col freno a mano tirato portando un brano molto melodico che impedisce soprattutto a Blanco di esprimere il suo stile, ma senza dubbio è un pop di alta qualità

Elisa – Forse Sei Tu

La cantante giuliana è entrata nel circolo esclusivo di quelle che non si possono criticare mai, che credo sia stato fondato da Laura Pausini. Lei, a differenza della madrina della Sagra della piadina, ha background di livello e preparazione musicale profonda ma da un po’ di tempo a questa parte, se non si affida ad autori come Carl Brave o Calcutta, finisce nel perdersi in canzoni slavate che annullano la sua personalità. Ahimè, questa non fa eccezione e sembra l’ennesima occasione sprecata per un’artista che a mio avviso avrebbe possibilità di offrire più qualità alla musica italiana.

Gianni Morandi – Apri Tutte Le Porte

La combo che mette insieme i due più grandi paraculi delle loro rispettive generazioni, vale a dire Morandi (interprete) e Jovanotti (autore) dà il risultato che ci si aspettava: brano orecchiabile tutto sorrisi e buon umore, con ritornello che entra in testa e un buon groove alla base. A dare un pizzico di eterna gioventù al tutto, la produzione dell’icona house music Mousse-T (che dirige anche l’orchestra). Nulla di memorabile, si intenda ma se non altro si percepisce un po’ di passione e sembra tutto molto cool. Anzi, para-cool.

Achille Lauro – Domenica

Lauro ha capito fin dalla sua prima partecipazione quale sia la dinamica del Festival e sa bene che la musica qui non è la cosa più importante. Per questo ancora una volta presenta un pezzo che funge solo da accompagnamento alle sua performance sul palco, volta a far parlare di se, e non importa se bene o male. E se pochi minuti dopo la sua prima esibizione la sua foto a torso nudo spopolava su internet, la missione è totalmente compiuta. Chi conosce la sua carriera musicale, sa che i pezzi negli album sono quasi sempre molto più interessanti dei singoli, specialmente di quelli sanremesi. Per quanto, il cantato acapella dell’Harlem Gospel Choir è uno dei momenti musicali più alti della kermesse.

La Rappresentante di Lista – Ciao Ciao

Il passaggio dal pop elettronico con vene avanguardistiche che li contraddistingue all’omaggio all’italodisco-funk ha spiazzato molti, che hanno subito gridato alla caduta di stile. Invece qui di stile ce n’è a pacchi, con un arrangiamento sontuoso ed un giro di basso da far scuotere i vetri. A questo si aggiunga un’interpretazione coi fiocchi, un testo intelligente ed un ritornello catchy che li porterà al successo. Strameritato.

Tananai – Sesso Occasionale

Esordisce a Sanremo con un pezzo dal testo fuori dagli schemi, stona come se non ci fosse un domani, porta Rosa Chemical alla serata cover mentre omaggia la Carrà con la maglietta degli Iron Maiden impasticcando A Far L’Amore Comincia Tu, si diverte e prende tutti per il culo. Dite quello che volete, ma se questo non è un idolo, non so cosa altro serva.

Highsnob & Hu – Abbi Cura di Te

Etichettati come i Coma Cose di questa edizione, con l’ennesimo guizzo di originalità della stampa generalista che paragona due entità totalmente diverse solo perché entrambe composte da un uomo e una donna in atteggiamenti teneri, Highsnob e Hu in realtà portano una bellissima canzone, ben scritta, con il pregio di saper trasmettere le emozioni che descrive, grazie anche a delle performance intense e sincere. Approfonditeli perché meritano.

Rkomi – Insuperabile + Matteo Romano/Aka7even/Sangiovanni

Your own personal Rkomi completa la sua trasformazione da trapper a cantante pop-rock già ben avviata con Taxi Driver e porta un pezzo radiofonico che piacerà al suo pubblico ma che obiettivamente sposta poco nella storia della musica. Destino simile quello di Sangiovanni, che per un po’ continuerà a ripetere il successo di Malibu ripetendone la formula, mentre oscillano tra Zecchino D’Oro e recita di fine anno i pur promettenti fenomeni adolescenziali Matteo Romano ed Aka7even.

Irama – Ovunque Sarai

Tra le nuove leve Irama è uno dei più preparati vocalmente e musicalmente, il brano che presenta è una ballad di buona qualità, con un discreto arrangiamento. Rimane il dubbio su cosa voglia veramente essere questo artista, che sembra perdere di identità mentre saltella tra generi.

DArgen D’Amico – Dove Si Balla

Cassa dritta, vestiti sgargianti, atteggiamento sornione e battute per tutti. DArgen diventa subito simpatico al pubblico, ci cammina in mezzo, lo fa ballare e si prende gli applausi. Nel frattempo, tra il ritmo sfrenato del suo pezzo, c’è un testo che è l’unico della gara ad affrontare in qualche modo l’attualità di questi anni, in modo scanzonato ma intelligente. Peccato che i dinosauri dell’Ariston ballino e non se ne accorgano.

Giovanni Truppi – Tuo Padre, Mio Padre, Lucia

Truppi è colui che aveva sulle spalle l’arduo compito di far interessare al Festival la maggior parte di quelli che lo schifano, in quanto unico rappresentante del cantautorato “intellettuale” ed esponente di quella nicchia che trova sempre meno spazio nel paese che ha prodotto i vari De Andrè, De Gregori, Guccini, ecc ecc
E lui fa quel che sa fare, cioè cantare una canzone che dà grande importanza alle parole, come da tradizione appunto. Continuerà a piacere a chi lo amava, se però ora lo conosce e lo apprezza qualcuno in più, è certamente una buona cosa.

Emma/Fabrizio Moro/Noemi/Michele Bravi/ Giusy Ferreri/Yuman

Li metto tutti in gruppo perché le loro esibizioni sono francamente quelle che ti scorrono addosso senza guizzi. Canzoni abbastanza banali, musicalmente innocue, appartenenti a quel limbo che sembra far parte di un passato che non ci scrolleremo mai di dosso. Di positivo, Bravi che se non altro scrive i suoi testi con una certa sensibilità, Emma che viene inquadrata meno della Maestra Michielin, Giusy Ferreri che porta Andy alla serata cover, quella in cui Noemi ci ricorda perché non si dovrebbe mai rifare Aretha Franklin, la somiglianza di Fabrizio Moro con Vincenzo Montella e quella di Yuman con Aieie Brazov.

Ditonellapiaga & Rettore – Chimica

L’alchimia tra le due funziona, Rettore ha carisma ed energia, il ritmo è incalzante. Chi conosce Ditonellapiaga sa che ha scritto e fatto brani più particolari ed interessanti di questo. Ma la mattina dopo averlo sentito, ci si risveglia cantandolo. Non è forse per questo che esiste Sanremo?

Massimo Ranieri – L’Uomo Al Di Là Del Mare/Iva Zanicchi – Voglio Amarti

Due grandi interpreti della nostra musica, seppur fuori dal tempo si fanno apprezzare per non voler sembrare per forza giovani e per delle interpretazioni di grande classe. Il testo del pezzo di Ranieri è forse il più bello di questo Festival, mentre l’arrangiamento di quello della Zanicchi sorprende per l’eleganza e la raffinatezza del suo classicismo.

Ana Mena – Duecentomila Ore

Poveraccia, massacrata fin dal primo minuto perché spagnola in un Festival di musica italiana (vero ma anche chissenefrega), perché la canzone è brutta (vero ma fosse l’unica) e perché finora era nota solo per hit estive (vero ma chi le ha mandate in classifica?). Però almeno ha una voce decente e sa stare sul palco. Non basta per farsela piacere ma io preferisco lei a chi si prende troppo sul serio. Anche se l’esibizione con Rocco Hunt sembrava presa direttamente da una serata della crociera-sponsor ufficiale.

Le Vibrazioni – Tantissimo

A me non piace insultare chi fa musica e mai lo farò però Le Vibrazioni qualcuno un giorno me li dovrà spiegare. Non li capisco, forse sono io. Il loro repertorio è farcito di canzoncine facili che ricordano sempre qualcosa di già sentito e comunque distanti anni luce da ciò che ci si aspetta da una band che si professa rock, e questa loro partecipazione conferma il tutto. Se questa è l’unica band nel cast, a sto punto ridateci gli Avion Travel….

Articolo a cura di Claudio Contini. 
Copertina a cura di Claudio Calia

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