Se la trap ha tentato veramente di uccidere l’Hip-Hop, allora l’Hip-Hop ha lottato e si è rialzato in piedi, fino a prendere la trap sotto il proprio ombrello per renderla parte della stessa storia.

Che poi è nella natura delle cose, visto che la trap in USA è effettivamente nata come naturale continuazione della cultura nata nel Bronx, dando espressione a quelle nuove generazioni provenienti dai ghetti e dalle zone suburbane, prima di Chicago e di Atlanta, e poi un po’ ovunque.

In Italia c’è ancora strada da fare sotto il punto di vista culturale: molti trappers conoscono l’Hip-Hop solo di striscio e in linea generale sembrano fregarsene di quelle linee-guida morali e stilistiche che hanno portato i rappers ad essere spesso le voci del disagio e della rivolta sociale. Ma come tutte le cose che hanno fatto la storia, l’Hip-Hop non poteva morire o quanto meno esser tenuto in vita dagli affannosi respiri dei veterani che quella storia hanno contribuito a costruirla.

 

Ed allora ecco servito un album che potrebbe e dovrebbe essere il punto da cui ripartire per l’Hip-Hop in Italia.

Ce lo presenta ben confezionato la Love Gang, crew trasteverina che conta nel suo roster artisti che hanno dimostrato di saper esprimere il loro talento in tanti modi, dalla trap all’indie, dal cantautorato al rap, dall’elettronica al pop. Ma provengono tutti da un background Hip-Hop, come dimostrano i loro esordi e i loro gusti musicali. E in questo loro lavoro collettivo sembrano volerlo ricordare a tutti.

 

Cristi e Diavoli è dichiaratamente un omaggio al sound Hip-Hop anni 90, come testimoniato dalle incredibili produzioni curate dai due beatmakers della crew, Drone126 e Nino Brown, con alcune incursioni del fidato Il Tre Beats. Atmosfere che oscillano tra influenze jazzate à la Tribe Called Quest, a quelle più hardcore reminiscenti in qualche modo i Soul Assassins, fino allo smooth groove che richiama a un certo filone parigino. Il tutto funziona alla grande perché suona moderno nonostante l’approccio classico, perché il suono è tecnicamente perfetto, e soprattutto perché crea la magia quando abbinato ai versi dei rappers coinvolti.

Dalla title-track iniziale, vero manifesto del gruppo in cui lo street style si fonde con la realtà quotidiana capitolina, tra spocchia e sentimento, passando per tutta la track-list, escono fuori con chiarezza diversi punti:

 

  • Franco126 non sbaglia un colpo. Oltre a saper cantare e a scrivere ritornelli che rivoltano ogni canzone in cui si inseriscono, è ad oggi probabilmente il miglior rapper della nuova generazione. Non solo per i contenuti ma anche, e soprattutto, per uno stile di altissimo livello.
  • Asp126 è la migliore sorpresa del disco. Il suo flow sbarazzino, quasi colloquiale ma estremamente preciso, si stampa in testa ad ogni pezzo ed ha il pregio di far entrare nel mood che si vuole trasmettere.
  • Pretty Solero è una macchina. Anche lui forse inaspettato ma senza dubbio efficace e molto tecnico nei suoi versi che sanno dare il massimo qualsiasi sia l’argomento toccato, dalle cose più gangsta a quelle più sentimentali.
  • Ugo Borghetti è definitivamente l’icona della nuova romanità. Che poi nuova, ma molto legata alla Roma storica, quella di Gabriella Ferri e dei barcaroli del Tevere, quella Roma che lui sa raccontare con la sua spoken-word de noantri, capace di esprimere profondo disagio e allo stesso tempo buonumore.
  • Ketama è il carisma fatto persona. Gli basta poco, è presente solo su sette pezzi ma ogni volta che lui entra con il suo flow quasi sbiascicato, sono fiamme. Stile inconfondibile ed inimitabile.

  • Nell’album ci sono ben 18 pezzi per 55 minuti di musica, una durata a cui non si è più abituati, ma quello che impressiona è che non ci sono momenti morti. I pezzi corali come Signor Prefetto e Classico sono i più rappresentativi della crew e danno modo di apprezzare il feeling genuino che li unisce. Ma anche pezzi come Marciapiedi, in cui Ketama fa da ponte col suo ritornello ai versi di Franco e di un ispirato Gemitaiz (uno degli ospiti) sprizza 126 da tutti i pori. Pennellate di una Roma dura e difficile sono disegnate in Spacciasogni (insieme a un Side Baby sempre più convincente) e in Mani Sporche dove Gianni Bismark, l’ospite più legato alla crew, tira fuori un verso extralusso. Tic Tac è un pezzo nostalgico in cui Asp e Solero sono al top, cavalcando uno dei beat più souleggianti della nuova generazione. Fattaccio è un capolavoro di Hip-Hop hardcore legato a un testo leggero e divertente in cui Franco si eleva all’ennesima potenza. In Cattive Abitudini, in cui si descrivono i vizi difficili da eliminare, sono da mettere in evidenza gli scratch di DJ Gengis che riprende vecchi classici del rap italiano. Ci sono pezzi di nostalgia sentimentale come Brutti Giri, Confini (col ritornello cantato da Tiromancino) e Sintonia (con Gemello) che sono il perfetto esempio della canzone d’amore. Poi c’è Sexy, con un redivivo Gel, che sa anche giocare con l’attrazione fisica in maniera equilibrata e mai banale. Segnalo anche uno dei migliori versi dell’anno, fatti da Franco in Giorni Migliori, pezzo amaro che porta verso la fine dell’album, caratterizzata da Tinta Unita, brano dedicato agli amici scomparsi, rappato ancora da Franco e dall’ultimo ospite presente, Danno, che come al solito è incisivo e convincente, ma che soprattutto con la sua presenza rappresenta la linea di unione tra l’era doro dell’Hip-Hop romano e questa nuova ondata, capitanata al meglio dalla Love Gang.

 

Cristi e Diavoli è un album che mancava, e che per fortuna arriva in un momento in cui tanti giovani ascoltano rap. Un nuovo inizio, o semplicemente un disco che porta quello che l’Hip-Hop ha sempre portato: stile e genuinità. Fondamentale.

 

articolo a cura di Claudio Contini – Original Street Grooves