13 March 2021  /  Mari

LOTTOmarzo è stata lanciata la prima delle innumerevoli #sanzioneFUCKsia, che con regolarità colpiranno d’ora in poi gli artefici del terricidio e delle ingiustizie che ci opprimono.

Di volta in volta la sanzione si concentrerà su una multinazionale, un programma, un progetto …  con campagne di informazione e azioni per dare forza ed energia a una resistenza e lotta collettiva contro il terricidio

La pratica della sanzione viene mutuata dai movimenti di boicot che hanno sconfitto l’apertheid in Sud Africa e poi il BDS per l’affermazione del diritto del popolo palestinese alla fine dell’ occupazione, dell’assedio e delle politiche di apertheid di Israele.

La prima #sanzioneFUCKsia colpisce l’ENI, la multinazionale che meglio di qualunque altra sa tingersi di verde, macchiarsi di rosso, e cospargere terra e aria delle sue scie nere. Oltre ad essere la più grande azienda italiana a partecipazione statale operante nel settore fossile, Eni, è anche la più restia alla riconversione, 30esima nella lista delle 100 aziende che hanno emesso il 71% di gas climalteranti dal 1985 ad oggi a livello mondiale, responsabile di devastazioni ambientali abissali, da sembrare irreversibili dal delta del Niger in Africa al golfo di Gela, in Sicilia.

Chi distrugge, sfrutta, abusa, desertifica, mercifica, schiavizza DEVE smettere di farlo e riparare i danni già causati

Sono decine, centinaia i siti nel mondo che attendono bonifiche da parte del colosso energetico colonizzatore, eppure, l’unico investimento “green” a cui Eni tiene molto, è la sua pubblicità.  Ci ricordiamo tuttu degli spot?

Il bio-carburante promosso da questo spot era talmente “bio” che si è guadagnato una multa per pubblicità ingannevole dall’Antitrust; inquinava 3 volte di più del carburante normale dal momento che la componente principale era l’olio di palma, causa di deforestazione in Malesia e Indonesia, ad esempio.

Nel 2018 Eni ha emesso 537 milioni di tonnellate di CO2, più dell’Italia intera, e si vanta ancora per le sue ridicole strategie, che rispondono alle richieste degli investitori piuttosto che a quelle della popolazione e della scienza: nonostante la lotta alla crisi climatica richieda interventi ambiziosi entro i prossimi 7 anni, Eni prevede per il 2030 di ridurre le proprie emissioni solo del 25%.

Su un capitale di investimento medio di circa 7 miliardi l’anno, ben più della metà andrà a gas e petrolio, e meno del 20% ad attività “green” che, oltretutto, comprendono false soluzioni. In una delle bozze del recovery plan abbiamo visto la proposta di destinare una parte consistente dei 6,3 miliardi della cosiddetta transizione ecologica all’ENI: 1,35 i miliardi per realizzare il più grande centro previsto a Ravenna per la cattura e stoccaggio di anidride carbonica al mondo per mezzo di tecnologie sperimentali dalla dubbia efficacia nonché sicurezza per l’area circostante e 1,35 miliardi per la produzione di combustibili alternativi o bioplastica. Ma dobbiamo stoccare l’anidride carbonica o ridurne drasticamente la produzione? Abbiamo proprio bisogno di produrre bioplastiche che necessitano di coltivazione di materie prime rinnovabili e di biomassa o dobbiamo eliminare le plastiche e riciclare quelle che già coprono intere zone del pianeta? Abbiamo proprio bisogno di bioraffinerie? 

I piani di Eni ci vincolano ancora per decenni a un modello di sviluppo terricida, monopolio delle grandi compagnie, che opprime e sfrutta i popoli, i territori,  gli animali umani e non, la vegetazione  in nome del profitto e del perpetuarsi di questo sistema capitalista eteropatriarcale. 

Rete Ecosistemica Roma

Non c’è giustizia climatica, senza giustizia sociale e di genere.

Non una di meno, non un grado in più

 

QUEERzionario del 13/03/2021 – S di #sanzioneFUCKsia

Sudor Marika ft. Chocolate Remix – Las Invertidas

Disponibile su:

 

 

 

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