7 April 2021  /  Anna Maria Bruni

Non è più il tempo di pensare alle lotte per il lavoro come se fossero la precondizione per costruire percorsi di vita di qualità. Il mondo dello spettacolo dal vivo in lotta da un anno tesse una trama che intreccia questioni strutturali a tutti gli ambiti della vita.

Il 15 marzo scorso è stato depositato il ddl  “Disposizioni sul riconoscimento della figura professionale dell’artista e sul settore creativo”, altrimenti detto “Statuto delle Arti” a firma della maggioranza, ovvero il presidente della commissione cultura Riccardo Nencini (Iv-Psi) e i capigruppo nella 7a commissione del senato: Danila De Lucia (M5S), Maria Saponara (Lega), Roberto Rampi (Pd), Andrea Cangini (FI), Daniela Sbrollini (Iv) e Albert Laniece (Autonomie).

Il testo si concentra sul tema del lavoro artistico (vedremo prossimamente come), ma non fa parola degli spazi, dei tanti spazi che fanno cultura nel territorio, e con il tema della redistribuzione dei fondi, prima di tutti del FUS. Tre questioni che “Cambio di scena” non si stanca di affrontare insieme alle colleghe e ai colleghi che di volta in volta intervengono. In questa puntata parliamo con Giada Lo Russo, attrice, animatrice dei Presidi Culturali Permanenti di Roma, e con Carlo, storico animatore di Scup (Sport e Cultura Popolare)spazio sociale che si trova a Stazione Tuscolana di Roma.

Ho condiviso la puntata con loro proprio perché i due percorsi intrecciano temi che la politica continua a tenere separati: lavoro artistico e culturale, che intreccia la politica sociale che teatri e spazi costruiscono con la loro presenza nei territori, minacciata dalla mancata redistribuzione dei fondi, e dagli sgomberi, lì dove sono stati fatti rivivere spazi pubblici e privati abbandonati al degrado.

Il testo della maggioranza non affronta perciò la questione strutturale, esattamente come non lo fa il Comune, che ha lasciato cadere il “Regolamento per la cura condivisa degli spazi comuni” proposto dall’ormai ex vicesindaco e assessore alla Cultura Luca Bergamo, che avrebbe potuto avviare un percorso non dissimile da quello affrontato con il Comune di Napoli, arrivando magari alla costituzione di un “Osservatorio permanente dei beni comuni della città” di Roma.

Di certo quel regolamento è un’altra occasione di convergenza delle battaglie che dagli spazi sgomberati come Ex Lavanderia e Cinema Palazzo, ma anche LuchaySiesta, quelli a rischio sgombero come lo stesso Scup, ai teatri chiusi e abbandonati, ad edifici pubblici vuoti opportunità vera di costruire case della cultura in ogni quartiere con lo stesso criterio della rete delle Biblioteche di Roma, per tessere una trama sempre più fitta di un nuovo modo di abitare la città.